"Ah Europa"

Sottotitolo: 
Dopo il 1989 la paranoia della guerra fredda è stata sostituita dalla paranoia della competizione
 
Il saggio “Ah Europa!”, dello scrittore tedesco Hans Magnus Enzensberger, scritto poco prima della caduta del muro (pubblicato da Garzanti nel 1989), contiene i risultati delle sue “rilevazioni su sette paesi europei. Il libro testimonia la diversità culturale dei paesi e popoli europei e mette in guardia contro l'idea di ridurre l'Europa ad uno Stato e sostiene l’idea di una forma confederale capace di abbracciare tutte queste varietà. Il momento scelto per la pubblicazione fu quello giusto perché dopo la “caduta del muro” la possibilità per le due parti d'Europa, Est e Ovest, di liberarsi delle camicie di forza a loro imposte dalla logica della guerra fredda e per ristabilire la sovranità dei popoli e delle persone sulle loro vite, sui sistemi politici ed economici era un obiettivo a portata di mano. 

 Ma come è noto gli eventi hanno preso un altro corso. I vecchi gruppi di potere nell’Europa orientale scomparvero, mentre nell’Europa occidentale hanno continuato il loro corso con un potere rafforzato. La paradigmatica distruzione dei sistemi agricoli e delle società rurali e dell'ambiente nei paesi dell'Europa meridionale nel corso dei decenni precedenti è stata seguita dall'emarginazione economica e dalla destabilizzazione politica di queste aree con la diffusione della criminalità economica e della corruzione politica estese alla Germania orientale e Polonia orientale trasformati così in nuovo Mezzogiorno europeo. I processi di omologazione culturale e di standardizzazione istituzionale dei paesi europei sono continuati con i Trattati di Maastricht e di Lisbona, ed oltre negli anni Duemila. La paranoia della guerra fredda è stata sostituita dalla paranoia della concorrenza e del libero mercato che è tuttora l'altare sul quale popoli, culture e territori sono sacrificati.
Il decennio in corso ha appiattito la politica dell'Unione Europea al potere dei centri finanziari e del loro sistema dell'euro gestito dalla Banca centrale europea. L’Unione europea assomiglia sempre più al sistema statunitense dove gruppi finanziari e militari di potere sono in grado di assumere la governance dell'intero sistema. La turbolenza finanziaria programmata e provocata da questi gruppi, un atto predatorio organizzato mirante all'espropriazione del risparmio delle persone, è stato una dimostrazione di arroganza che gli eventi successivi hanno pienamente confermato. Il potere esercitato ed il loro controllo politico e finanziario sulle istituzioni degli Stati europei, è stato pienamente confermato. Solo pochi mesi fa l'impressione che qualcosa sarebbe stato fatto dalle istituzioni europee per introdurre maggiore trasparenza e controllo sui centri e le istituzioni finanziarie era molto diffusa. Ma queste impressioni si sono rivelate sbagliate. I responsabili della crisi divennero presidenti e membri delle commissioni che dovrebbero controllare e riformare il sistema. E quando la Commissione Europea si è decisa a parlare alcune settimane fa non è stato per istituire controlli e sanzioni  sui centri finanziari e le cosiddette istituzioni di controllo della Banca centrale europea e delle banche centrali nazionali, ma per mettere vincoli più forti alle politiche economiche degli Stati membri ed ostacolare gli sforzi per ridurre i danni prodotti dalla crisi economica e sociale causata dalla speculazione finanziaria.
Nel suo saggio su Il futuro dell'economia americana James K. Galbraith, ripercorrendo le esperienze delle precedenti crisi finanziarie, scrive: “Potevamo aver appreso da tutto ciò che la linea tra banchieri e disonesti può essere molto sottile. Per questo è imperativo il controllo rigido di questi ambienti. In seguito alle crisi dei risparmi e dei prestiti oltre mille insider dell’industria furono sottoposti ad azione penale da parte delle autorità federali, condannati e finirono in prigione (Black, 2005). Nella crisi odierna il maggior numero ed i più aggressivi tra i predatori rimangono latitanti.” “Adesso c’è bisogno di coraggio nel riconoscere che il governo ha incoraggiato - no, ha favorito - la più grande truffa finanziaria della storia del mondo. Gli economisti di professione restano, tuttora, intenzionalmente sordi, muti e ciechi sulle implicazioni di questo fatto.”
Il bersaglio di queste nuove misure dell’UE sono i sistemi europei di welfare con la loro varietà di diritti sociali e del lavoro istituiti nel passato. La loro destabilizzazione fa seguito a quella attuata per le relazioni industriali e per le politiche industriali durante gli anni Ottanta e Novanta e a quella realizzata a partire dagli anni Sessanta per l’agricoltura europea. Il processo di delocalizzazione dell’industria europea seguito dall'annullamento dei diritti sociali e del lavoro sono parte di questo scenario. Il ruolo di Washington e dei suoi istituti finanziari nella governance della globalizzazione ha trovato il suo partner europeo nell’alleanza tra Germania, Francia e Gran Bretagna all'interno dell'UE. Questa situazione viene analizzata nel citato saggio di Galbraith: “Come osserva, Baily l’offerta del disavanzo è ancora più intensa in Europa. Qui, quelli che lo impongono (soprattutto i tedeschi) hanno il grande vantaggio di un mercato manifatturiero concorrenziale ed una moneta deprezzata, il che produce crescita economica a fronte di una contrazione fiscale, mentre quelli che ne portano l'onere (in Grecia, Portogallo, Irlanda e altrove) sono spesso in piccoli paesi le cui prospettive dipendono fortemente dal non far arrabbiare troppo i poteri forti di Berlino e di Francoforte. Per questo motivo, i piani di austerità imposti alla Grecia non comprendono pesanti tagli all'acquisto dei carri armati tedeschi - o dei sottomarini francesi per restare sull’argomento. La Grecia continua a sopportare uno dei pesi procapite più forti delle spese militari nel mondo sviluppato, pur avendo una prospettiva zero di conflitto armato, con la Turchia o con chiunque altro.”
Il modello sociale che si vuole imporre all’Europa è il modello danese. L’industria danese è stata molto innovativa nell’entrare nel nuovo settore della produzione di energia alternativa (eolica e solare). Come è avvenuto per l’industria automobilistica in altri paesi dell'UE durante i decenni precedenti, lo stato e le istituzioni pubbliche hanno favorito questo settore con investimenti e infrastrutture. Fondi di sviluppo regionale sono stati ampiamente utilizzati per aiutare questa industria (“green jobs”) a crescere con grande successo. Il mercato interno in forte espansione ha ottenuto successo anche in altri paesi con una forte esportazione. Tuttavia, la logica di investimento dei capitali privati è divenuta la stessa di qualsiasi altro scopo settore for-profit. Non è orientata alla stabilità e crescita sostenibile ma a una sempre maggiore crescita indipendentemente dalle reali esigenze e realtà produttive di altri paesi. Il loro sogno sarebbe di fornire almeno un mulino a vento per ogni persona come è stato fatto con l'industria dell'automobile, i telefoni cellulari, telefono, ecc.. Invece di essere un incentivo a ridurre l’energia consumata diviene esattamente il contrario. Il collasso ambientale che ne seguirà nei prossimi due decenni quando tutte queste macchine diverranno obsolete e dovranno essere sostituite non preoccupa ovviamente i produttori. Esattamente come accade con l'industria automobilistica. Questo mostra che tutte le radici di questi e simili problemi non poggiano su scelte alternative di specializzazione (auto, auto elettriche o mulino a vento) o smart tendenze innovative ma sulla cultura della globalizzazione e di un capitalismo predatore capitalista che ispira tali comportamenti.
La Danimarca è uno dei migliori produttori europei di mulini a vento. Una delle società è VESTAS. Una società con grandi imprese in varie regioni della Danimarca e in altri paesi. Il 26 novembre l'impresa ha informato i lavoratori e l'opinione pubblica che, a causa di una ridotta crescita percentuale di questo settore in Europa, numerosi stabilimenti saranno chiusi. Circa 3000 lavoratori saranno licenziati. Le regioni coinvolte sono tra le meno sviluppate della Danimarca fortemente dipendenti da questa impresa per la loro sopravvivenza economica. Si tratta di regioni (come Nakskov e Lolland Faster) che hanno incontrato gravi problemi durante la chiusura dei cantieri navali pochi decenni fa. Questa nuova industria aveva riportato speranze di stabilità, e lavori pubblici furono fatte per migliorare le infrastrutture e per la spedizione dei prodotti via mare.
I sindaci hanno reagito con sorpresa a queste notizie apprese spesso dai giornali. Lo stesso ha avuto luogo nel caso dei sindacati. Nessuno era a conoscenza delle decisioni prese. E nessuno si aspettava di essere informato! Tutti si preoccupano per il futuro ma questo è quanto avviene nel sistema danese delle relazioni industriali. E’ la direzione che prende le decisioni, informa i dipendenti ed entro un mese tutti a casa. Le preoccupazioni sono espresse ad alta voce, ma di conflitto non si parla. Questo è possibile solo per i contratti collettivi dentro i tempi e le forme previste. In questi casi siamo fuori da questi confini e regole. Il diritto esclusivo degli imprenditori di organizzare la produzione e chiudere le imprese è sancito negli stessi. Quindi tutti zitti e, se necessario, tutti a casa. No c’è spazio per la contrattazione. Il ruolo del sindacato è in questi casi quello di spiegare ai lavoratori che la cosa migliore da fare è cercarsi un lavoro altrove. E' una decisione “razionale” e nel comune interesse di tutti. I conflitti, come la corruzione, non possono esistere nel paese. E’ meglio sacrificarsi individualmente per mantenere al paese ed alle sue istituzioni lo status di zona libera da conflitti e da corruzione. I lavoratori intervistati in TV esprimono delusione ma si accingono a vendere le loro case ed a trasferirsi in altre regioni della Danimarca nella speranza di trovare un nuovo posto di lavoro. Questo è tutto. Nessun dubbio in merito alle decisioni prese dalla società. Queste sono le condizioni accettate della competizione e del mercato capitalistico. I rappresentanti dei lavoratori metalmeccanici ripetono sui media che non ci sono più posti di lavoro nella regione e pertanto i lavoratori devono muoversi verso sud, verso la Germania. E' un peccato per queste città e piccole comunità che saranno abbandonate, ma così è.
Le ragioni addotte per la chiusura di queste imprese sono che le aspettative di un grande salto avanti per il settore “verde” in Europa non si sono ancora verificate. Le aspettative sono state  superiori alla realtà ed hanno influenzato la valutazione dei risultati di bilancio del terzo trimestre dell’anno. Non che fossero negativi, ma non soddisfacenti. Il fatturato è stato di 1.722 MIA di Euro (12,8 MIA. Kr.) rispetto a 1.814 MIA di Euro (13,5 MIA. Kr.) dello stesso periodo dello scorso anno. L'utile prima delle imposte ammonta a 175 milioni. di Euro (1,3 mia. Kr.) rispetto a 229 milioni. Di Euro (1,7 MIA. Kr.) del terzo trimestre del 2009. Non è un brutto affare, diremmo, ma nulla che non sia superiore all’anno trascorso sembra condizione accettabile per VESTAS
D'altro canto, c'è un indicatore positivo negli ordini inevasi delle imprese. Nei primi nove mesi del 2010 ammontano a 6.567 MW, che è la più alta mai raggiunta. Gli ordini inevasi rappresentavano alla fine dell'ultimo trimestre dell'anno 5.884 MW, con un valore di 5,7 miliardi di Euro (42,5 miliardi corone ). Tuttavia VESTAS insiste sulla sua previsione di un totale di nuovi ordini di 7000-8000 MW nel 2010. Per il confronto con il 2009 gli ordini ricevuti furono in totale di soli 3.072 MW corrispondenti a un valore totale di 3,2 miliardi di Euro (23,8 miliardi corone ).
All'inizio del 2010 questa grande impresa produttrice di mulini a vento ha scelto di mantenere una sostanziale sovraccapacità produttiva in Europa in attesa di un aumento della domanda nel corso del 2010 e 2011. Ora che è chiaro che la crescita del mercato in Europa non potrà realizzarsi secondo le previsioni ricordate per il 2011 VESTAS ha deciso di ridurre la capacità di produzione con la chiusura di varie fabbriche, soprattutto in Danimarca, dove i costi sono più alti. Una serie di funzioni amministrative in varie imprese in Danimarca ed all’estero saranno ridotte di conseguenza. Pertanto circa 3.000 posti di lavoro saranno eliminati come risultato di queste misure. Le fabbriche interessate da queste riduzioni in Danimarca sono collocate a Skagen, Nakskov, Rudkøbing e Viborg. Il costo della dismissione del capitale fisso e per il licenziamento del personale sarà di 140-160 milioni di euro (1,0-1,2 miliardi di corone) durante il quarto trimestre del 2010.
Questi sono i fatti, freddi come le reazioni delle persone coinvolte – lavoratori, sindacati, e politici - E' un vero peccato quanto accade, si è detto, meglio cercare lavoro altrove. Nessuna menzione particolare del problema o conflitto di qualsiasi tipo è citato nei quotidiani di quei giorni di fine novembre. L'agenda politica era occupata da scandali politici di amministrazione e di competenze, dall’agitazione populista contro gli islamici, il pericolo terrorista negli Stati Uniti, ecc. Sul mercato del lavoro nulla: la chiamano flexicurity.
Le reazioni sono state diverse in Gran Bretagna dove VESTAS, un'impresa che è stata in grado di creare 21,000 posti di lavoro nel “green jobs” in tutto il mondo, è divenuta oggetto di critiche da parte dei lavoratori, dirigenti sindacali e attivisti per l’ambiente. VESTAS ed i suoi dirigenti si trovano improvvisamente nella poco famigliare e spiacevole situazione di essere l’obiettivo dei lavoratori esasperati, sindacati, politici ambientalisti che accusano la società di perseguire il profitto a scapito dei posti di lavoro. La fabbrica sull'isola britannica Isle of Wight è stata occupata per protestare contro l'annunciata chiusura di un ramo dell’azienda con 525 dipendenti. "Riteniamo di essere stati trattati ingiustamente ed eliminati da una società il cui unico obiettivo è il profitto” dichiara uno dei direttori locali dell’azienda al giornale The Guardian. I media, contrariamente a quanto accade in Danimarca, seguono da vicino il conflitto e la polizia britannica ha rifiutato di interrompere l’occupazione degli stabilimenti. Colloqui sono in corso tra governo e sindacati. Tagli alla produzione in Gran Bretagna sono stati introdotti anche a Newport e ed anche qui ci sono state forti reazioni.
Tuttavia il problema è più complesso in Gran Bretagna. Il Ministro dell'ambiente Ed Milliband ha presentato un nuovo piano per il clima che prevede la creazione di 400.000 “green jobs” mediante la costruzione di almeno 7,000 mulini a vento. Ma l’opposizione delle autorità locali per la creazione di nuovi mulini a vento è molto diffusa. Il direttore generale di VESTAS, Ditlev Engel, ha parlato di un problema dovuto alla diffusa attitudine “non-nel-mio-giardino” - problema che ha interrotto la possibilità di espansione del settore del paese. Il governo britannico sta cercando di sostenere le attività di VESTAS mentre la società sembra più orientata a lasciare il mercato britannico. I rappresentanti dei lavoratori sono contrari a dare più soldi alle imprese private e sostengono invece proposte di nazionalizzazione del settore.
Licenziamenti in un contesto di crescente disoccupazione e gravi restrizioni delle finanze pubbliche pone il problema delle nuove politiche per l'occupazione in una situazione di cambiamento della specializzazione e distribuzione internazionale del lavoro. Con riferimento alla situazione negli Stati Uniti Galbraith osserva che: “il problema dei posti di lavoro ha praticamente nulla a che fare con la situazione dell’industria manifatturiera. In termini assoluti l’occupazione manifatturiera negli Stati Uniti non è aumentata dalla fine degli anni Cinquanta, nonostante il raddoppio della popolazione che si verificato da allora ad oggi, e la caduta in questo settore dal 2000 è stata precipitosa, da raggiungere meno del 9 percento dell’occupazione totale di oggi. La perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero è dovuta agli aumenti di produttività, alla concorrenza estera ed alla delocalizzazione, prima in Messico e poi in Cina. Nulla può essere fatto in merito e nulla sarà fatto. La creazione di posti di lavoro riguarda i servizi. Si tratta di trovare cose utili da fare per le persone, fornendo loro reddito ed alle imprese che li impiegano un equo profitto. Tuttavia, il ruolo dello scopo di lucro nella creazione di occupazione non dovrebbe essere sopravvalutato. Quasi il 17% dell'occupazione totale è fornita dal settore statale. Un'altra grande parte è nel settore non-per-profit, alimentato da donazioni filantropiche, incentivato da deduzioni fiscali per iniziative di solidarietà, ecc.”
 Ma tutto questo ci introduce nel dibattito del nostro (italiano ed europeo) progetto di economia e di società destinato a soppiantare quello declinante del mercato capitalistico. Un discorso che merita di essere proseguito.