Brexit - Un’occasione per ripensare l'Europa

Sottotitolo: 
 Un voto contro un meccanismo istituzionale e politico guidato da Troike, Uffici e Commissioni non eletti da nessuno, che dispongono a piacimento dei destini dei popoli.

Dico fin da subito che, se fossi stato un elettore britannico, avrei votato per il “leave”. Non perché mi piaccia Farage o perché sia nazionalista, xenofobo e antieuropeo, ma perché sarebbe stato l’unico modo per far intendere a chi governa l’UE che così non si può più andare avanti.

Il coraggioso voto soprattutto inglese, con buona pace degli intellettuali progressisti non è tout court il voto della Chouannerie o, come si è tentato di far credere, delle arretrate zone rurali del paese; come spiegare altrimenti il voto scozzese, largamente espressosi per il “remain”, pur essendo la Scozia ben più largamente agricolo-pastorale dell’Inghilterra? Senza contare poi che i distretti del nord, dove il “leave” ha prevalso massicciamente, non sono zone rurali, ma ospitano forti insediamenti industriali, gravemente colpiti dalla crisi e dalla disoccupazione.

E' stato, piuttosto, il voto di cittadini che non si sentono più tali, sopraffatti come sono da un meccanismo di governo comunitario democraticamente incontrollato e incontrollabile, che agisce per algoritmi, seguendo i dettami della finanza e trascurando le necessità e i bisogni delle persone, un meccanismo che è guidato da Troike, Uffici e Commissioni non eletti da nessuno, che dispongono a piacimento dei destini dei popoli e che, aspetto ancora più grave, fanno da copertura all'inanità politica e ai conflitti di interessi dei diversi governi nazionali. Un ultimo esempio: il prolungamento di sei mesi delle “inique sanzioni” nei confronti della Russia, approvato in automatico da un gruppo di alti funzionari, giusto in contemporanea con la visita di Renzi e altri leaders europei a Mosca.

In una delle tante trasmissioni dedicate all'evento dalla BBC, mi ha colpito quello che ha detto un signore un po’ avanti negli anni per giustificare la sua scelta pro- leave: “Sono consapevole, ha detto, che soffrirò per alcuni anni le conseguenze della mia decisione, ma l’ho fatto per i miei nipoti, che sicuramente staranno meglio.” Al di là del merito e della fondatezza di questa affermazione, mi pare che essa esprima in parole semplici la volontà di riaffermare il primato della politica sull'economia, di una politica che sappia progettare per le generazioni future e non sia succuba degli zerovirgola, una politica che pensi in grande e che l’Europa ha pur conosciuto ai tempi de Gaulle, di Adenauer, di Brandt, di Mitterrand, di Kohl. Ora sembra invece che al timone della UE siedano dei nani impauriti, capaci solo di ragionare in termini di Fiscal Compact, drastiche riduzioni della spesa sociale, con conseguente impoverimento di milioni di cittadini in tutto il continente.

Abbiamo poco tempo a disposizione. Le elezioni spagnole hanno risentito del voto inglese e del timore di un aggravmento della situazione nell'eurozona priva di una leadership effettiva. Anche perché la Spagna è sottoposta a un ennesimo esame da parte di un oscuro organismo comunitario, per verificare se ha fatto bene i compiti nel tagliare il bilancio sociale e forse dovrà pagare una multa di alcuni miliardi per avere sforato il tetto previsto. Tutto ciò in un contesto sociale gravemente compromesso da un tasso di disoccupazione insopportabile, da una crisi economica che morde soprattutto in basso mentre il governo Rakoy non ha esitato a operare tagli profondi quanto iniqui.

Intanto in Francia Marine Le Pen propone un referendum sull'UE, e canta già vittoria. Intanto, il redferendum costituzionale di Matteo Renzi previsto per ottobre non potrà non risentire del giudizio sulle politiche europee che hanno contribuito alla più lunga fase di rcessione-stagnazone dell'Italia del dopo-guerra.

È urgente abbandonare la vuotac e comoda retorica europeistica, che ha contribuito a coprire le malefatte degli (in)decisori politici. È tempo di intraprendere, prima che sia troppo tardi, un cammino comune ben tracciato sui grandi temi strategici che ci preoccupano, dal tema del lavoro a quello della ricerca e dell’innovazione tecnologica, dalla sanità alle infrastrutture continentali, al controllo concretamente comune dei flussi migratori, al sistema bancario e al ruolo della BCE. Non è vero che mancano le risorse; in questi ultimi dieci anni si è calcolato che esse si sono al contrario globalmente accresciute, anche se, assieme ad esse,si sono enormemente accresciute  le diseguaglianze sociali. Manca solo un chiaro disegno politico e la volontà di attuarlo.

Speriamo  che l'Europa dei ragionieri alla Schaeuble, che con la sua iattanza ha contribuito alla vittoria del leave,  si avvii al tramonto.

Claudio Salone

Professor of ancient literatures, Rome - https://claudiosalone39.wordpress.com/