Combustibili etici

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Stiamo assistendo da un lato alla fine della globalizzazione intesa come “fine della storia”, dall’altro alla costruzione di nuovi equilibri mondiali.

Nella terribile guerra russo-ucraina che stiamo vivendo c’è un fronte non direttamente armato, quello delle sanzioni, che si stanno vieppiù inasprendo e prossimamente estendendo – pare – al comparto energetico, contro una Russia tornata a essere The Evil Empire, “L’Impero del Male”, secondo la definizione che Ronald Reagan dette dell’URSS nel 1983.

In base a questa rinnovata definizione, che sembra trovare sostanza nelle orribili immagini pervenute da Bucha e da altri teatri di guerra, è evidente che il Capo dell’Impero del Male non può che essere l’incarnazione stessa del Demonio, alias Vladimir Putin, “macellaio”, “criminale di guerra”, “pazzo assassino” e così via aggettivando.

Naturalmente, all’Impero del Male si contrappone, giocoforza, l’Impero del Bene, alla cui testa c’è un senescente Joe Biden, alle prese con il perdurante e costante declino dell’egemonia globale statunitense, soprattutto nel settore Asia-Pacifico, il nuovo baricentro della politica mondiale. Si veda da ultimo lo smacco subito dallo stesso Biden nell’incontro  con Narendra Modi, capo del governo indiano, dal quale è uscito a mani – diplomaticamente – vuote.

A provocare quello che sembrerebbe una sorta di riflusso della storia più sanguinosa del Novecento è stata la tragica decisione del presidente russo di invadere l’Ucraina. Decisione sicuramente imperdonabile, che tuttavia andrebbe analizzata – e sperabilmente letta in una futura, inevitabile prospettiva di pace - secondo un paradigma politico e non secondo quello eticistico che la pone al centro di uno scontro tra vizio e virtù, tra buoni e cattivi (gli ucraini sempre e dovunque buoni, i russi sempre e dovunque cattivi e menzogneri.

Tale secondo paradigma è tuttavia largamente prevalente in quella che viene definita “la narrazione” degli eventi  che i nostri mezzi di comunicazione di massa intessono quotidianamente  (1)..

Volendo comunque seguire la bussola del moralismo semplificatorio tanto caro all’infotainment internazionale, sorgono tuttavia alcune questioni: dove andrebbe collocato il “virtuoso” Occidente, che come tutti sanno ha condotto la guerra in Afghanistan (durata vent’anni, oltre 170.000 morti), la guerra in Iraq (dal 2003 al 2006 150.000 morti solo tra gli iracheni) la guerra nell’ex Jugoslavia (oltre 100.000 morti, in prevalenza musulmani), lo stesso virtuoso Occidente ben rappresentato dall’indimenticabile sguardo bolso e vuoto dei soldati olandesi dell’ONU, incaricati di frapporsi tra serbi e bosniaci musulmani e che a Srebrenitza hanno permesso un genocidio in piena regola (8.000 bosniaci musulmani massacrati a sangue freddo dalle milizie di Milosevic)?

Che dire poi del sanguinoso disastro delle Primavere arabe, alimentate (sconsideratamente?) dalla politica di Barack Obama e Hillary Clinton, con le loro centinaia di migliaia di morti e la nascita dell’IS?

Ho sentito dire in tivvù che “sono cose ormai passate”, su cui non vale la pena di tornare quando è sangue vivo ed europeo quello che scorre oggi in Ucraina. È per questo che ci sentiamo in diritto non già di tagliare “politicamente” l’erba sotto i piedi di Putin, ma di fargli la morale? Cosa sono le sanzioni se non un modo eticistico di fare la guerra, un modo che, peraltro, non ha mai funzionato?  L’isolamento della Russia è visibilmente una chimera. (2)

Non è forse vero che Putin, come del resto altri dittatori in passato, è salito al potere con il consenso maggioritario della popolazione? Che i suoi esecrabili seguaci non sono semplicemente “comparse”, ma persone che la pensano in un modo che noi riteniamo sbagliato e pericoloso? E non dobbiamo sforzarci di sottrargli consenso, non di metterlo in caricatura come un redivivo Ivan il Terribile?

Ma veniamo all’eticità dei combustibili e alle relative sanzioni: il gas e il petrolio russi sono contaminati dal Male e quindi è necessario farne a meno al più presto, anche a costo di pagare molto di più il gas americano (più scadente e peraltro prodotto anche con il fracking, che si sa quanto bene faccia all’ambiente), gas che, data la distanza, non riuscirà mai a coprire le esigenze energetiche del nostro continente, almeno nel breve, medio periodo.

Il gas russo viene da un paese “diabolico”, è vero, ma purtroppo è di buona qualità e costa poco – senza contare la facilità di approvvigionamento (vedi il problema delle navi gasiere, del loro ancoraggio, del pericolo di diventare bersaglio di attentati, ecc.). Ma la libertà, dice il presidente Draghi, val pur bene una riduzione dei consumi … per la climatizzazione! (E le industrie energivore, dove le mettiamo?).

Tuttavia, se di libertà si parla, c’è qualcuno che può sostenere in buona fede, ad esempio, una maggiore “eticità” del petrolio e del gas proveniente dalla penisola arabica, dove governano regimi che sono notoriamente un luminoso esempio di democrazia, con decapitazioni sulla pubblica strada, tagli di mani, negazione quotidiana dei diritti universali dell’Uomo? Perché si parla così poco della terribile guerra nello Yemen, condotta con spietata ferocia dall’Arabia Saudita di Bin Salman, con migliaia di morti tra i civili, tra cui numerosissimi bambini? Forse perché è funzionale al contenimento dell’Iran, altra sede del Maligno sulla terra?

Torniamo dunque a ragionare in termini politici e lasciamo perdere il moralismo bianco-nero: stiamo assistendo da un lato alla fine della globalizzazione intesa come “fine della storia”, capace di autoregolarsi in base al funzionamento dei mercati internazionali e dall’altro al riposizionamento delle forze in campo, all’apertura di un processo che condurrà negli anni a venire alla costruzione di nuovi equilibri mondiali.

Poiché la politica è la scienza del trovare il miglior compromesso possibile tra forze e interessi contrapposti, è venuto il tempo di iniziare a pensare a una concertazione su scala planetaria, di indire una nuova Conferenza di Yalta (magari non in Crimea!) o, se si vuole risalire più indietro nel tempo, un nuovo Congresso di Vienna, a cui partecipino tutti gli stakeholder e gli shareholder della politica mondiale.

All’inizio dell’800, grazie al grande tessitore Metternich, si assicurò all’Europa post-napoleonica più di un trentennio di pace. Non abbiamo invece alcun bisogno di organizzazioni permanenti e autorefenziali come l’ONU, la cui conclamata inanità è indiscutibile[3], né di moralisti à la carte, né dello spirito da crociata che sembra animare tanta parte delle mediocri elites che ci governano.


[1] Il perimetro di influenza sulle opinioni pubbliche mondiali di tali mezzi si va peraltro sempre più restringendo attorno alle elites e ai gruppi dirigenti, mentre “gli altri”, ben più numerosi, utilizzano quasi esclusivamente i cosiddetti “social” e, stando almeno ai sondaggi, spesso non condividono le linee politiche dei governi e “protestano” rifugiandosi nell’astensione dall urne.

[2] https://www.ilsole24ore.com/art/usa-l-arma-sanzioni-funziona-solo-meta-AEry36EB

[3] Già una volta la Società delle Nazioni ha fallito il suo scopo ed è stata dissolta nel 1945, non essendo riuscita a evitare lo scoppio del Secondo Conflitto Mondiale: non è forse il caso di procedere allo stesso modo liquidando un’ONU costosa e anacronistica, con i suoi riti obsoleti - il potere di veto dei Cinque “Grandi”? 

Claudio Salone

Professor of ancient literatures, Rome - https://claudiosalone39.wordpress.com/