Così parlò Olli Rehn

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L'ennesimo inno all'austerità e alle mitiche riforme strutturali. La necessità di una «golden rule» per scorporare dai deficit le spese per investimenti in infrastrutture e in tecnoscienza. 

Nell’ultimo trimestre del 2012 l’eurozona ha avuto il peggior risultato dell’anno: -0,9%. A parte la Grecia (-6%) la caduta dell’economia va dal -2,7% dell’Italia al -0,3% della Francia. La novità e che la stessa Germania ha avuto -0,6%. Un numero crescente di economisti condividono l’idea che la principale causa della recessione europea è l’austerità fiscale che la Germania e gli altri paesi nordici hanno imposta a tutta l’eurozona. Olivier Blanchard e Carlo Cottarelli, rispettivamente capo economista e direttore del dipartimento degli affari fiscali del Fondo monetario, sostengono che i tagli fiscali europei sono troppo forti e fatti troppo in fretta, con un impatto negativo ben maggiore di quanto stimato dai modelli econometrici ortodossi. 

Il commissario agli affari economici e finanziari, nonché vice presidente della Commissione europea, Olli Rehn, ha tenuto un breve discorso il 15 febbraio a Mosca, in occasione del G20, del quale è utile riportare alcuni passi salienti, perché nei discorsi brevi la sostanza delle posizioni emerge più chiaramente. All’inizio dice: “Sono convinto che al fine di ottenere una crescita sostenibile ed equilibrata, i membri del G20 devono concentrarsi più sulle riforme strutturali che sugli stimoli fiscali e monetari di breve periodo. La strada maestra deve essere individuata nella creazione delle condizioni che permettano alla domanda privata di sostituirsi a quella pubblica”. Pur ammettendo che la disoccupazione ha raggiunto livelli storicamente elevati, Rehn sostiene che tale livello “parla non solo di una tra le più forti cadute cicliche, ma anche di profondi problemi strutturali. E’ un problema di crescita e di competitività”.

Ma la crescita e la competitività sono ostacolate “dall’alto livelli dei debiti, dall’invecchiamento della popolazione e dal fatto che più della metà della spesa sociale dell’intero mondo avviene in Europa”. Dunque secondo Rehn il modello sociale europeo è un onere che appesantisce l’economia europea; ciò di cui c’è bisogno sono le mitiche “riforme strutturali”, un ambiguo termine per l’abolizione della normativa di protezione del lavoro ed i tagli alle spese sociali. Questo è il significato dell’espressione “riformare e modernizzare il modello europeo di economia sociale di mercato”.

Rehn sottolinea il capovolgimento dei deficit di parte corrente: “In Irlanda i costi relativi del lavoro sono caduti del 20% dal picco della crisi, le esportazioni crescono e le imprese creano posti di lavoro. In Spagna le esportazioni sono cresciute del 20% in termini reali tra il 2009 ed il 2011”. Per la verità lo stesso incremento delle esportazioni si è verificato in Italia, anche se le statistiche aggregate sul costo del lavoro non mostrano rilevanti variazioni. Ma il punto più importante è che il rapporto esportazioni-Pil è del 106% in Irlanda, mentre è del 32% in Spagna e del 30% in Italia (l’eurozona ha un 46%, determinato dalla Germania con 52%). Così i tagli salariali in Irlanda hanno un effetto ben diverso rispetto a quelli in Italia e Spagna, dove la diminuzione dei consumi privati è più grande dell’aumento delle esportazioni (e questo spiega anche il capovolgimento del deficit commerciale). Dopotutto il Pil è fatto da consumi e investimenti (private e pubblici) e dalle esportazioni al netto delle importazioni.

Le previsioni della crescita del Pil per l’eurozona sono deprimenti: 0,1%, e probabilmente è sbagliato per eccesso, ed il risultato sarà con il segno meno. Secondo la Bundesbank la Germania crescerà dello 0,4%, non dello 0,8%, e per la Francia il risultato sarà anche peggiore, mentre in Italia e Spagna continuerà sicuramente la recessione, con -1% e -1,4%. Va bene, dice Rehn, “se la crescita va peggio delle previsioni, un paese può ricevere un tempo maggiore per correggere il deficit eccessivo, sempre che abbia effettuato gli sforzi fiscali concordati. Questa decisione è già stata presa per Spagna, Portogallo e Grecia”. Si tratta di un messaggio a Francois Hollande, dato che il deficit francese rimarrà ben sopra al 3%. L’Europa (cioè la Germania) concederà più tempo, sempre che “gli sforzi di consolidamento in ciascun paese siano adeguati in “termini strutturali”, cioè una volta eliminati gli effetti del ciclo economico e le misure una tantum sul bilancio”.

Dunque bilanci in pareggio strutturale e svalutazioni salariali sono i modi in cui, secondo la Commissione europea, i Piigs possono raddrizzare la loro economia. Nel frattempo Hollande ha deciso una svalutazione fiscale, tagliando di 20 miliardi le imposte alle imprese, con una speciale deduzione basata sulla massa salariale. Il taglio fiscale è compensato per metà da un aumento di un punto dell’Iva, e per metà da tagli alle spese pubbliche. L’obiettivo è ovviamente quello di aumentare le esportazioni (ma il rapporto di queste con Pil è in Francia al 28%).

Avrà anche l’Italia più tempo? Probabilmente no, o almeno non ancora. Dobbiamo ricordarci, dice Rehn, “che il debito pubblico in Europa è cresciuto da circa il 60%, prima delle crisi, a circa il 90% del Pil. E noi sappiamo che debiti pubblici sopra il 90% tendono ad avere un effetto negativo sul dinamismo economico, che si traduce in crescita lenta per molti anni”. Poiché il debito italiano è al 127%, l’Italia ha una lunga strada di tagli di almeno tre punti percentuali all’anno prima di arrivare al 90%. Per questa ragione Alberto Quadrio Curzio (Il Sole 24 Ore del 21 febbraio), un noto e del tutto moderato economista, ha scritto che “il prossimo governo italiano deve trattare perciò duramente con le istituzioni della Ue e della Uem per scorporare dai deficit le spese per investimenti in infrastrutture e in tecnoscienza senza i quali la nostra recessione, già certa per il 2013, proseguirà. Ma anche l'Europa per evitare il rischio stagnazione (oggi aggravato dalle svalutazioni di dollaro e yen) ha bisogno, se non degli EuroUnionBond, almeno di questa «golden rule».

Ruggero Paladini

Economist - Professor of "Scienza delle Finanze" at University "La Sapienza" Roma; Member of the Economic Board of Insight - ruggero.paladini@uniroma1.it