François Hollande – “Missione Impossibile”?

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Il nuovo preidente ha chiesto la rinegoziazione del "Patto fiscale" per ridurre il suo impatto deflazionistico e promuovere misure dirette alla crescita. La reazione di Angela Merkel è stata quella di un immediato e perentorio rigetto.

La vittoria di François Hollande non solo è stata un grande evento nella  storia politica francese, ma ha aperto una nuova fase nella crisi europea. Su come la nuova fase si svilupperà non ci sono certezze. L’attuale disastrosa direzione della politica europea non cambierà rotta facilmente.  Ma una cosa è certa: il dibattito politico europeo entra in una nova fase e molte maschere sono destinate a cadere.

La politica dell’austerità ha inondato di macerie l’eurozona. La cura sta uccidendo il malato. La Grecia  ha seppellito i partiti che avevano sposato la linea suicida dell’austerità, ma la leadership europea continua a negarle ogni ragionevole via d’uscita. Mentre scriviamo, appare improbabile (o non vitale) la formazione di un governo sostenuto dai vecchi partiti che avevano accettato i diktat di Bruxelles; in questo caso, le prossime elezioni annunciate per giugno segneranno con ogni probabilità la vittoria del coalizione della sinistra radicale, guidata dal giovane Alexis Tsipras. Il suo programma è chiaro: volontà di rimanere nell’ euro, ma rinegoziando le condizioni imposte dalle dalla Troika (Commissione europea, BCE, FMI).

 Sarà quello il momento della verità. Se l’Europa tornerà sui suoi passi, togliendo il cappio al collo della Grecia, la deviazione dalla politica di austerità si rifletterà sugli altri paesi in difficoltà dell’eurozona – innanzitutto i Portogallo, ma anche la Spagna e l’Italia. Se i leader europei manterranno una linea di intransigenza e negheranno alla Grecia l’aiuto deciso con il secondo salvataggio, il nuovo governo greco sarà con ogni probabilità posto di fronte a una brutale alternativa: rimborsare le quote di debito in scadenza e pagare gli interessi senza poter corrispondere gli stipendi e le pensioni a una popolazione già stremata da cinque anni di recessione; o, viceversa, dichiarare default sul debito.

 E’ possibile che la Germania scelga di lasciare la Grecia al suo destino: in pratica, il default al quale seguirebbe un’uscita non programmata dall’euro in una situazione di caos economico. E’ un ipotesi che Wolfgang Schäuble, ministro delle finanze, ha apertamente prospettato e che dovrebbe servire come deterrente verso gli altri paesi dell’eurozona. O la disciplina dell’austerità o il caos.

Ma i processi finanziari sono meno lineari, e il ricatto potrebbe avere conseguenze incontrollabili. I mercati saprebbero definitivamente che l’eurozona è incamminata su una strada scivolosa. Senza un cambiamento radicale della politica di austerità imposta da Bruxelles, la Spagna potrebbe diventare una  bomba a orologeria.  Il sistema bancario spagnolo ha accumulato 180 miliardi di crediti di dubbia solvibilità, e il governo deve sostenere il sistema accrescendo il disavanzo di bilancio. Ma Bruxelles ha imposto la riduzione del deficit da più del sei per cento corrente al tre per cento nel 2013. E’ come se si imponesse agli Stati Uniti un abbattimento del deficit di più o meno 500 miliardi di dollari in due anni nel mezzo di una recessione e con una disoccupazione prossima (in Spagna) al 25 per cento.

Se questa concatenazione di eventi non è sbloccata, l’Italia, destinata a oscillare fra l’attuale recessione e un lungo periodo di quasi ristagno, con un debito sovrano molto più elevato di quello spagnolo e una spesa per interessi intorno al cinque per cento del PIL, per un ammontare intorno a 80 miliardi di euro, verrebbe a trovarsi sulla linea di fuoco della speculazione,

E’ questa la politica dell’asse Berlino-Francoforte-Bruxelles con la quale Hollande dovrà confrontasi. In un quadro nel quale la stessa Francia ha difficoltà a raggiungere l’obiettivo del tre per cento di disavanzo improvvidamente concordato da Sarkozy con Bruxelles, mentre l’economia è bloccata e la disoccupazione ha superato il 10 per cento. Lo spread rispetto ai tassi tedeschi è ancora relativamente basso, oscillando  intorno a 150 punti base, ma anche quello italiano era su questo livello nella primavera dell’anno scorso. Le agenzie di rating sono in agguato. La Francia difficilmente potrebbe salvarsi da sola in un quadro di progressivo dissesto dell’eurozona.

Hollande, bisogna dirlo, non contrappone alla linea del rigore una politica keynesiana di deficit spending. Ha confermato l’impegno al pareggio del bilancio entro il 2016. Ma ha anche avuto l’ardire di chiedere la rinegoziazione del Patto fiscale, per attenuarne l’impatto deflazionistico e inserirvi misure indirizzate alla crescita. La re azione di Angela Merkel -  che non si mostra particolarmente colpita dalle ripetute sconfitte elettorali,mentre continua a godere di un vasto consenso sulla linea di rigore imposta nell'eruzona - è stata di rigetto immediato e perentorio. Berlino ha, infatti, prontamente rigettato sia l’idea di un intervento della BCE  nell’acquisto di titoli del debito sovrano sul mercato primario, sia l’emissione di eurobond collettivamente garantiti dagli stati dell’eurozona. Due misure dal chiaro e ragionevole obiettivo di sottrarre gli stati dell’eurozona allo strozzinaggio dei mercati che impongono tassi di interesse insopportabili.

La prima risposta di Hollande è stata pacata quanto decisa.  “Su questa questione – ha affermato – discuteremo con i nostri partner e in particolare con i nostri amici tedeschi, ma essi non possono porre due paletti in una sola volta: uno sugli eurobond e un altro sugli acquisti diretti di titoli di stato sul mercato i primario da parte della Banca centrale” (Slate.fr, 7 maggio).

Le controproposte che vengono avanti da parte tedesca sono un escamotage, basato sull’affiancamento del Patto fiscale di un finto patto per la crescita. L’dea è di facilitare l’uso dei fondi strutturali, imponendo una minore partecipazione finanziaria da parte degli stati che ne sono beneficiari, da un lato. Accrescere la dotazione della Banca europea degli investimenti per assistere investimenti privati e pubblici nel settore delle reti, come energia e banda larga. Sostanzialmente, soluzioni di scarso impatto sulla vastità della crisi, se non di pura facciata, per sviare il dibattito dal problema essenziale che è appunto la paralisi della finanza statale schiacciata dall’abbattimento del deficit, dalla riduzione del debito e dal pagamento di insopportabili interessi speculativi.

Rimane il fatto che nemmeno l’asse Berlino-Francoforte-Bruxelles crede che l’austerità da sola possa produrre risanamento e crescita. Non a caso, l’austerità è sempre immancabilmente abbinata alle riforme di struttura. In effetti la prima è il quadro che dovrebbe incentivare le seconde. Al centro come sappiamo vi è la riforma del mercato del lavoro. L’hanno sperimentata la Grecia e il Portogallo e oggi è al centro del dibattito italiano. Il modello più compiuto è quello messo in atto dal premier spagnolo Mariano Rajoy.

E’ la riforma che Bruxelles ha assunto come modello e Draghi ha caldeggiato sin dal tempo della lettera della BCE dell’estate del 2011 al governo italiano. I punti essenziali sono due. Il primo è la liberalizzazione dei licenziamenti individuali  per ragioni economiche; il secondo è la possibilità per le aziende ridurre il salario fissato nei contratti aziendali destinati a sostituire la contrattazione nazionale.

Le riforme del welfare e del lavoro sono il vero obiettivo di lungo termine. Le riforme di struttura una volta realizzate hanno un carattere tendenzialmente indelebile. La vittima sacrificale è il modello sociale europeo, le sue tutele i suoi diritti, condannati a svanire come un’insopportabile eredità del secolo scorso.

La sfida che deve fronteggiare Hollande, che il popolo francese ha voluto all’Eliseo come erede di Mitterand, padre dell’euro insieme con Kohl, coinvolge il destino dell’Unione europea. La missione assunta è, per usare un eufemismo, difficile. Dobbiamo augurarci che la leadership europea, egemonizzata dal fondamentalismo della Germania, non la renda una “missione impossibile”, aprendo la strada a una progressiva disintegrazione dell’Unione europea.