Il decisionismo e il mestiere del presidente

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Il nuovo presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è accompagnato dalle aspettative di quel che rimane della sinistra in Italia. Per non deluderle dovrà quanto meno garantire una corretta osservanza della Costituzione.

Sergio Mattarella è salito al Colle accompagnato dalle aspettative di quel po' di sinistra rimasta in Italia. Ma aspettative di che cosa? In altre parole: che cosa è lecito e desiderabile aspettarsi se l'uomo - come si spera - resterà coerente con la sua storia personale e non subirà metamorfosi indotte dal ruolo, come per altri è avvenuto in passato?

Diamo per scontato che il primo requisito dev’essere una completa autonomia rispetto al presidente del Consiglio. Il che ovviamente non significa contrastarlo – che, anzi, una collaborazione tra le due cariche fa parte della normalità istituzionale – ma non chiudere un occhio e a volte tutti e due, come è accaduto con Giorgio Napolitano, di fronte a forzature al confine della legalità (e anche oltre, per dirla tutta). Ci riferiamo in modo specifico all’uso dei decreti legge, che le norme prevedono limitandoli ai casi di “necessità e urgenza” specificando anche quale deve esserne la struttura, ossia l’omogeneità del provvedimento in questione.

Ora, si può dare per scontata la “necessità”, dato che un governo sta lì apposta per valutare ciò che è necessario. Ma il requisito dell’”urgenza” è stato platealmente calpestato, come pure quello dell’omogeneità del provvedimento. Ricordiamo per esempio che la nuova disciplina dei contratti a termine è stata varata per decreto: è evidente che non si potesse parlare di urgenza. Così come non si poteva per l’obbligo alle Banche popolari di trasformarsi in Spa, previsto in un altro decreto contenente per di più un fritto misto di provvedimenti. Sono solo due casi recenti, ce ne sono stati altri.

Come mai Napolitano non ha avuto niente da dire sull’abuso dei decreti legge? Che dovrebbero essere strumenti abbastanza eccezionali, da adottare o di fronte a situazioni improvvise e imprevedibili – le misure da prendere in caso di catastrofi naturali, per esempio – oppure quando il tempo fra il varo di un disegno di legge e la sua approvazione ed entrata in vigore può dare adito a manovre pregiudizievoli, come fughe di capitali, comportamenti elusivi o simili. In caso contrario si tratta di forzature nei confronti del Parlamento, aggravate dal ricorso, ormai frequentissimo, al voto di fiducia per contrastare eventuali modifiche su cui il governo non è d’accordo.

Probabilmente il motivo per cui Napolitano non è intervenuto va ricercato in una convinzione assai diffusa in parecchi vecchi comunisti, ossia che il fine giustifica i mezzi. E siccome sul fine il presidente era d’accordo ha ignorato il fatto che i mezzi non fossero leciti. Ma questo significa non far bene il proprio mestiere di custode della Costituzione e della correttezza delle procedute democratiche. Ecco, da Mattarella – fino a ieri peraltro membro della Corte costituzionale – è lecito aspettarsi un ripristino delle procedure corrette.

Così come è lecito aspettarsi che, in quanto presidente del Consiglio supremo di Difesa, sia ben cosciente che il ruolo di questo organismo è soltanto consultivo e non lo trasformi – come ha fatto Napolitano in occasione della decisione sulla revisione del contratto riguardante i caccia F35 – in un organismo che pretende di dare ordini al Parlamento.

Il capo dello Stato, com’è noto, presiede anche il Consiglio superiore della magistratura, e quindi può legittimamente dire la sua sulle questioni della giustizia. E’ auspicabile che eserciti tanto un’azione di stimolo per le leggi molto annunciate e mai affrontate (conflitto di interessi, revisione della prescrizione, ripristino del falso in bilancio, tanto per ricordarne qualcuna) quanto di sorveglianza sulle “manine” che di soppiatto introducono norme che contraddicono le dichiarazioni ufficiali, come quella di voler condurre la lotta all’evasione fiscale.

Un’ultima considerazione. Se Mattarella sarà un buon presidente lo diranno i fatti: per ora possiamo solo constatare che ce ne sono buone premesse. Ebbene, se davvero si decidesse di andare verso l’elezione diretta del capo dello Stato, seguendo la tendenza cesarista che oggi ha tanto successo, uno come lui non avrebbe mai la più lontana possibilità di emergere in un tale contesto. Ma di chi abbiamo bisogno che presidi il Colle, del più abile tra i comunicatori o di un civil servant, anche se questi non ha mai pensato che per svolgere al meglio quel compito sia necessaria una popolarità di massa?

Carlo Clericetti

Giornalista - Collaboratore di "La Repubblica.it." Membro dell'Editorial Board di Insight. Blog: http://www.carloclericetti.it