Il dramma greco non è finito

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Le ragioni per una scelta che sicuramente è stata dolorosa sul piano politico oltre che su quello umano.

Non so quando Tsipras ha capito che la precisa intenzione di Schauble era quello di fare uscire la Grecia dalla zona euro (almeno); a quel punto ha certamente capito che la scelta era tra preparare la Grexit o accettare le condizioni capestro della Germania. A costo di una rottura con la sinistra di Siriza, e con l’appoggio dell’opposizione di centro-destra, ha scelto di sottoporsi a una ulteriore dose di austerità (contro la quale aveva combattuto vincendo le elezioni). L’argomento, secondo il quale il 12 luglio ha ottenuto prestiti dieci volte maggiori di quelli che la Merkel gli aveva offerto due settimane prima e che lui aveva rifiutato, è evidentemente debole. 

Quali sono le ragioni per una scelta che sicuramente è stata dolorosa sul piano politico oltre che su quello umano? Metterei al primo posto il problema della bilancia delle partite correnti. La quale, partendo da livelli di deficit superiori a dieci punti di PIL, era arrivata nel 2014 ad un sostanziale pareggio. Tuttavia l’aggiustamento della bilancia commerciale, con le esportazioni (59 miliardi) di poco inferiori alle importazioni (63,3 miliardi) era stato conseguito, nell’arco di sei anni, con un lieve incremento dell’export (+4,2%) e un fortissimo calo dell’import (-39%), dovuto ovviamente al crollo di un quarto del PIL. Poiché l’ipotesi di un ritorno alla dracma ha senso nella prospettiva di determinare una robusta ripresa del PIL, è molto probabile che almeno inizialmente e probabilmente per molti anni la bilancia delle partite correnti vada in passivo, e che quindi sia necessario ricevere capitali per bilanciare il conto. 

Il problema è allora quello di dove trovare i capitali, dato che la Grexit implica il default sui prestiti del FMI, del fondo europeo EFSF e anche dei prestiti bilaterali concessi da alcuni governi europei. Molto probabilmente il governo greco avrebbe evitato di fare default sui prestiti in mano ai privati (in particolare Edge fund), ma è molto improbabile che avrebbe potuto trovare i capitali necessari a costi accettabili.

Naturalmente ci sono Stati sovrani che hanno accumulato formidabili quantità di capitali, ed il pensiero va ovviamente alla Cina, ma, e qui passo al secondo punto, da parte di Xi Jinping sono venuti consigli di rimanere nell’euro, per ragioni facilmente intuibili, che vanno al di là dell’interesse cinese per un porto (il Pireo) che può costituito un grande hub marittimo per tutta l’Europa del centro-est. Oltre al leader cinese gli stessi inviti a Tsipras sono venuti a Tsipras da parte di Obama e di Putin.

Terzo ma non minore, l’atteggiamento della netta maggioranza dei cittadini greci è quello di voler rimanere nell’euro. Chiaramente coloro che hanno votato Sì (Nai) lo hanno fatto non perché favorevoli all’austerità, ma proprio per indicare una scelta a favore dell’euro; ma una buona parte, probabilmente una metà, di coloro che hanno votato No (Oxi), respingevano l’austerità made in Germany ma non volevano una Grexit. Pertanto un improvviso ritorno alla dracma, che comunque nell’immediato comporta un periodo di prolungamento della chiusura delle banche, di razionamento della benzina e altri beni, un accentuarsi della caccia a beni rifugio (peraltro già in atto), avrebbe determinato un clima politico molto difficile, e Tsipras avrebbe dovuto fare i conti anche con l’ostilità di una parte dell’amministrazione, ivi compresa la Banca centrale.

Tuttavia è bene che Tsipras tenga ben presente che la prospettiva di Grexit non è affatto venuta meno. Le condizioni posti dal nuovo Memorandum of Understanding (MoU) sono tali da ripetere di nuovo quello che è successo negli anni precedenti. Il MoU infatti ripresenta esattamente le stesse richieste (per esempio sull’Iva e le pensioni) che erano già state al governo di Samaras nel 2014. Malgrado la promessa di allentamento della stretta fiscale nel momento in cui la Grecia fosse tornata ad un avanzo primario, la Troika aveva insistito per ulteriori misure; Samaras le aveva rinviate (fatemi almeno fare le elezioni prima!).

A queste misure se ne aggiungono altre veramente incredibili, come il fondo di 50 miliardi a garanzia del prestito. Fondo da costituirsi con le privatizzazioni, riuscendo in tempi inevitabilmente brevi a fare quello che il governo Samaras non era riuscito a fare in più di quattro anni. In aggiunta non è chiaro quali saranno i termini della ristrutturazione del debito (la parola default è tabù), cioè ulteriore allungamento del periodo di grazia, e riduzione dell’interesse. 

Merkel e Schauble dovrebbero essere grati a Karamanlis, il leader della destra responsabile dell’occultamento dei deficit pubblici nel primo decennio del 2000.  E’ stata proprio la denunzia (di Papandreu) dei deficit occultati che ha permesso alla Germania di addebitare alle irresponsabilità fiscale dei PIIGS le cause della crisi dei debiti sovrani. In realtà, a parte il caso greco, negli altri paesi è esattamente vero il contrario: la crisi finanziaria ha fatto esplodere i debiti pubblici. Crisi iniziata, come è noto, negli USA, ma che ha coinvolto tutto il mondo; in Irlanda per l’eccessivo indebitamento delle banche, in Spagna per una bolla immobiliare. L’unico paese con un debito elevato era l’Italia, ma fino al 2007 si era ridotto di oltre venti punti, arrivando al 103% del PIL, e comunque il deficit era sotto controllo. 

Entro un arco di tempo non lungo, al massimo un paio di anni, la Grecia si troverà con un’economia ancora depressa e nell’impossibilità di rispettare le condizioni poste dal MoU. La “catharsis” di Aristotele, quale conclusione del dramma, deve ancora avvenire.

Ruggero Paladini

Economist - Professor of "Scienza delle Finanze" at University "La Sapienza" Roma; Member of the Economic Board of Insight - ruggero.paladini@uniroma1.it