Il mal sottile della Cina

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Il male della Cina cova all’interno del suo  immenso corpo ed è quasi invisibile al visitatore delle sue frenetiche città. 

E’ il paese più ricco del mondo e forse anche il più potente. Signora incontrastata dell’intera Asia, temuta e ormai corteggiata da tutte le nazioni del pianeta, la Cina ha però la salute minata da un male insidioso che lentamente la logora  nonostante il floridissimo aspetto.

Come tutte le malattie più o meno latenti, anche quella della Cina non va trascurata. Il crollo di un simile colosso  travolgerebbe l’intero sistema mondiale e, al confronto, l’effetto Grecia sull’Euro si rivelerebbe  poco più disastroso di una puntura di zanzara.
Il male della Cina  risiede  nella  situazione sociale dell'intero paese. Simile a tutte le malattie di difficile cura, cova all’interno del suo  immenso corpo ed è quasi invisibile al visitatore delle sue frenetiche città.

E’ vero che ci sono mendicanti ad ogni angolo di strada, è vero che i tassisti guidano isolati da una resistente paratia di plastica  che li protegge dai clienti poco raccomandabili, è  vero che non esiste finestra senza grata di ferro e che la delinquenza è ogni giorno più diffusa e più manifesta, ma queste sono caratteristiche più o meno comuni alle metropoli di tutto il mondo e possono suscitare meraviglia solo in chi aveva vissuto in Cina prima della sua formidabile esplosione economica. Ma come allora la sua sofferenza veniva nascosta con attenta cura agli occhi dell’osservatore straniero, così anche adesso l’estrema miseria di una immensa parte della sua popolazione è resa invisibile all'esterno e pudicamente coperta.
Sdegno e incredulità ha suscitato la notizia della tragedia  di una bambina di due anni travolta da due veicoli e lasciata agonizzante su una strada vicina al mercato di Foshan, nella provincia del Guandong, tra l’incuria dei passanti che scavalcavano quel corpicino inerte, fino al gesto pietoso di una donna, una soltanto, che l’ha presa tra le braccia tentando una inutile corsa contro la morte.

Le autorità hanno arrestato i due assassini. Ma cosa faceva una bambina di due anni sola in una strada infuocata dal traffico? Pare che il padre abbia avanzato il dubbio che i responsabili si siano dati alla fuga per non pagare i danni. Ma lui dov’era mentre la sua bambina veniva schiacciata prima da un lussuoso SUV, poi dalle ruote di un camion?  Dov’era sua madre? Dov’erano le autorità locali che da sempre sono tenute  a sorvegliare tutti i mercati e le zone limitrofe?  E infine, possibile che l’autore di quel filmato dell’orrore non sia stato mosso da alcun sentimento di umana pietà  che superasse l’ebbrezza di uno scoop?

L'infanzia abbandonata
Si calcola che, ogni anno, centomila bambini cinesi spesso nella più tenera età, vengano abbandonati al loro destino. Il fenomeno coinvolge soprattutto le zone rurali ed è, in un certo senso, la conseguenza dello sviluppo congestionato dell’economia cinese.  La terra rende sempre meno e, peggio ancora,  il capo di un villaggio può decidere all'improvviso che un determinato appezzamento sia più redditizio come terreno industriale che non agricolo come da secoli era sempre stato.  Il contadino abituato da decenni a trarre il sostentamento per sé e per la sua famiglia  da quella terra, si trova all’improvviso depauperato di tutto. Infatti quella terra, considerata sua perché resa fertile dal lavoro di ogni giorno, non gli appartiene per legge. La proprietà rurale, come siamo soliti intenderla noi, in Cina non esiste. La terra appartiene allo Stato e il proprietario di un appartamento o di una casa, sa benissimo che  il terreno su cui sorge il suo immobile è di qualcun altro.

Quando il contadino è cacciato dalla sua terra, se ne va in città in cerca di fortuna. Spesso la moglie lo segue e i bambini restano soli, affidati a se stessi, ai fratelli più grandi se esistono- ma al massimo  potrà contare su una sorellina di poco maggiore  perché i contadini possono avere due figli soltanto nel caso che la prima sia una femmina- oppure ai nonni se sono ancora in vita.

Fino allo scorso anno, si calcolava che dalla metà degli anni Ottanta in poi, sui circa 900 milioni di contadini, 200 milioni  si siano spostati dalle campagne alle città, abbandonando nei villaggi d’origine oltre 70 milioni di bambini. Il loro destino è inimmaginabile al nostro comune sentire. Molti si prostituiscono ancora piccolissimi, altri si organizzano in bande di fuorilegge. I più deboli muoiono.

Il fenomeno dell'abbandono delle campagne sta assumendo conseguenze di incalcolabile gravità. E non solo da un punto di vista umano, di grande impatto per noi quanto di scarso interesse per la cultura asiatica.  Alcuni anni fa, e prima che la situazione assumesse i foschi contorni di oggi, una mia amica di Pechino mi faceva rilevare come l'abbandono della coltivazione delle terre favorisse l'avanzata del deserto, tanto che spesso  i contadini   che ritornano  al loro villaggio d'origine anche dopo un lasso di tempo brevissimo,  lo trovano talmente trasformato, da non riconoscerlo più. Quando il cemento non ha coperto i loro campi di mais, è intervenuto il deserto a divorare ogni possibilità di coltivazione.

Il miraggio di una favolosa ricchezza nascosta sotto l'asfalto delle  città piene di luci,  è però troppo forte per non indurre gli agricoltori  a cercare un livello di vita più accettabile. I limiti degli spostamenti sono stati abrogati per legge, chiunque può decidere di spostarsi entro il territorio cinese e dunque, perché non approfittarne? Un vecchio proverbio cinese ammonisce che a un uomo arrivato al cinquantesimo anno di età senza avere raggiunto la ricchezza o, al più, il benessere suo e della sua famiglia, altro non resta che il suicidio. Ne risulta inevitabile la corsa verso la città, le sue promesse, i suoi inganni.  I figli, soprattutto se ancora piccoli, rappresentano un intralcio, meglio abbandonarli. Se qualcuno penserà a loro, tanto di guadagnato. Diversamente, sarà segno che nella vita precedente hanno commesso colpe tali, che l'attuale tragedia ne rappresenta la giusta espiazione.  Nella prossima vita staranno sicuramente meglio. E avanti così.       

Soltanto nel 2004, quando il fenomeno dei minori ha cominciato a diventare troppo esteso per venire ulteriormente ignorato, il governo si è deciso a prendere qualche provvedimento. Sono stati allestiti alcuni orfanotrofi, si sono organizzate  squadre di soccorso. Troppo poco per una tragedia di quelle dimensioni.

 La sociologa americana Anne F.Thurston, ebbe alcuni anni fa l’opportunità di visitare un orfanotrofio nel sud della Cina, che ospitava circa 350 bambini, di cui 250 disabili. I piccoli in buona salute, anche se femmine, avevano molte probabilità di venire adottati da coppie sterili, ma per i portatori di handicap non c’era altra prospettiva che la morte. A turno, venivano alloggiati in quella che la Thurston definisce “ the Dying Room” e lì lasciati morire di fame e di sete.

E’ l’altra faccia della medaglia della ricchissima Cina. Tanto ricca da condizionare le economie mondiali, ma ancora tanto povera da non poter provvedere né alla salute né alla vita stessa dei suoi figli più deboli.

 Ricchezza nazionale e Previdenza sociale
Negli ultimi decenni del secolo scorso, Pechino si era posta due obiettivi prioritari.  Eliminare qualsiasi elemento potesse nuocere all'assolutismo del  governo centrale  ed espandere al massimo la sua economia  nel mondo intero. L'eccidio di Tien An Men dimostrò  la determinazione della Cina ad imporre la sua ragion di Stato senza tentennamenti di sorta. La stessa risolutezza fu impiegata per eliminare all'origine i pericoli rappresentati dalla “ Falungong”, una setta che, nata negli Stati Uniti,  aveva cominciato a diffondere in Cina  teorie giudicate inaccettabili dalle autorità al potere. Nonostante i primi avvertimenti,  era riuscita  a guadagnarsi  in poco tempo prestigio e adepti. Alla fine, la reazione del Governo fu durissima e della Falungong nessuno sentì più parlare. La sconfitta del terrorismo, originario del Sinkiang e fortemente sostenuto dal vicino Afghanistan, si giovò non poco della guerra contro gli estremisti islamici. Il corridoio del Vacan, l'unico        collegamento con il confine cinese, venne reso inservibile,  la Cina si trovò  le spalle coperte gratuitamente dalle armi degli Alleati  e poté dedicarsi ad altre più proficue attività. 

Nel 1997, dopo 150 anni di mandato britannico, Hong Kong era tornata alla Cina. Sostanzialmente, l'ex colonia inglese continuò la vita di sempre, tanto comoda anche per la stessa Pechino  che non pensò minimamente di sovvertirne la situazione.  Un mutamento drastico di sistema non avrebbe giovato a nessuno e Pechino aveva disegni ben più ampi che non imporre un’ideologia nella quale in realtà non credeva più nessuno. I profeti di sciagure dovettero ricredersi o tacere.
 Da quel momento, le  conquiste economiche e finanziarie di Pechino non conobbero più limiti.

Nel corso della lunga tormentata storia,  i cinesi hanno imparato a fare tesoro di ogni cosa, anche delle sconfitte.  Per regola, non buttano via mai niente, tutto può diventare utile e gli scarti dei ricchi rappresentano sempre una opportunità per i poveri.
Tempo fa,  una imprenditrice dalla vista lunga,  riuscì a realizzare un enorme capitale raccogliendo e vendendo carta straccia. Adesso è annoverata tra le persone più ricche di tutta la Cina in grado, si dice, di influenzare perfino le scelte politiche del governo di Pechino.

I tempi  erano mutati  e con estrema rapidità. Alla viglia del 2000, dopo un primo momento di sorpresa e di prudente incredulità, i cinesi più avveduti si lanciarono alla conquista della ricchezza e della felicità, senza tener conto che i posti al sole  erano sempre e comunque  scarsi e che non bastava un mutamento della politica interna di Pechino per assicurare il benessere a un miliardo e trecento milioni di cittadini.

Eppure fu proprio  numero esorbitante della popolazione , associato alla sua diffusa misera,  a        favorire i risultati economici del governo.  Sfruttando una mano d'opera a costo pressoché  zero  e a zero assoluto con le prestazioni dei carcerati, Pechino poteva permettersi di sgominare qualsiasi concorrenza straniera.

Il grande mercato, così come i mercatini rionali furono  invasi da montagne incommensurabili  di tessuti di lino ricamati, di sete, di tutto. Il mercato del tessile crollò miseramente. Come poteva sopravvivere, per esempio,  l'industria del lino ricamato fiorentino, se ad un costo inferiore del mille per uno si potevano acquistare manufatti di accettabile qualità?         
Nel lungo periodo, però, il “made in China” divenne simbolo di prodotto scadente e lentamente perse quel prestigio che un tempo aveva reso così ambito un oggetto cinese.

Tutto veniva riprodotto uguale, come le uniformi di cotone della popolazione cinese ai tempi della Rivoluzione Culturale. La Cina andava ormai perdendo il culto della bellezza perché aveva rinunciato all'unica cosa preziosa che non poteva essere messa in vendita, la ricchezza della sua cultura, la sua anima.

La popolazione che pur tra indicibili sofferenze aveva tentato di salvaguardare i valori della famiglia, della correttezza e della pietà, ormai si vedeva ridotta a un esercito di robot numerati.
Cinesi di città, cinesi di campagna

Nei  primi anni Cinquanta, all'indomani della vittoria di  Mao e della conseguente istituzione della Repubblica Popolare di Cina, venne creato un sistema di assistenza medica e di sicurezza sul lavoro gratuita. Nel 1998,  fu chiaro che la cosiddetta “economia socialista di mercato” non permetteva più il paternalismo di Stato.  Venne così creata una nuova forma di assicurazione medica per i lavoratori delle città, con programmi che integrassero le spese per l'assistenza sociale in genere, con contributi privati. Le spese mediche venero “suddivise tra gli impiegati e le loro unità di lavoro”, secondo fonti ufficiali del governo cinese. Il piano prevedeva un sistema di sussidi per i disoccupati, un sistema di pensionamento, un sistema di assicurazione medica , un altro ancora di assistenza  sociale e di garanzia di un assegno di sopravvivenza per i residenti in città.

L'obbligo di non mettere al mondo più di un figlio, veniva edulcorato con una speciale forma di assicurazione contro gli incidenti dell'unigenito, mentre per i contadini si stava studiando una formula che li salvasse dalla disperazione. Ancora non si hanno notizie sulla applicazione di questa  legge e probabilmente non ne sanno niente neanche i contadini che continuano la loro corsa disperata verso le città, in cerca di una forma possibile di sopravvivenza.

Nel 2007, secondo fonti ufficiali di Pechino, si  arrivò a istituire “ un sistema nazionale di previdenza sociale, unificato e standardizzato”.  A grandi linee, è costituito da” un sistema di sussidi per i disoccupati, un sistema di pensionamento, di assicurazione medica, di assistenza sociale e di garanzia di un tenore minimo di vita per i residenti delle città, di assicurazioni contro gli incidenti alla nascita del primo figlio e di una forma di assicurazioni per i contadini.”

A tutt'oggi, la proposta di legge è ancora all'esame del Congresso Nazionale Popolare.
Non meraviglia che, in simili condizioni, i contadini lascino la terra non appena intravedono uno spiraglio di luce, nonostante   già nel 1999, nei centri urbani si contassero ufficialmente oltre 4 milioni di migranti  e il numero sia adesso più che triplicato.
Disperata in città, miserrima in campagna, la vita della classe contadina che un giorno fu determinante per la vittoria della rivoluzione maoista, continua la sua millenaria tragedia.

In una coraggiosa  “Inchiesta sui contadini cinesi”,  i  giornalisti Chen gui De e Wu Chun tao, sfidando le ire del regime, hanno pubblicato il risultato delle loro indagini dopo dieci anni di studi nelle campagne della provincia di An-hui. Ne esce un quadro terrificante.
“ Il capo del villaggio di Jiwanchang, forte del potere e dell'influenza del padre, si recava spesso nel villaggio di Luying per riscuotere le imposte, utilizzando ogni tipo di persuasione contro la popolazione che osava resistere, compresi i pungoli elettrici.....Nel 1991, anno dell'inondazione, il Governo aveva decretato che i contadini dei distretti colpiti fossero esentati dal pagamento delle tasse. Nonostante questo, il figlio del capo del villaggio , con l'appoggio di una scorta, si impossessò con la forza dei beni dei contadini.”

Corruzione e violenza restano, come in passato, le caratteristiche della classe al potere. Se poi  qualche ingenuo soggiace alla tentazione di denunciare i colpevoli in una estrema illusione di giustizia, rischia di subire il castigo per la sua insubordinazione. Torturato e gettato in prigione con l'accusa di “ sobillatore delle masse”, il poveretto porterà i segni del suo coraggioso gesto per  tutta la vita: “ La polizia poteva ricorrere a qualsiasi tipo di punizione corporale affinché il detenuto  confessasse i suoi crimini, con bastonate o perfino con manganelli elettrici.... Ding Zuoming  non poteva più né muoversi né parlare, tuttavia gli aguzzini continuarono a picchiarlo alternandosi ogni venti minuti”.

Gli autori dell'inchiesta, ci informano che il guadagno di una famiglia rurale cinese, si aggira intorno ai 270 yuan (  meno di 30 €)  all'anno. Non meraviglia che i contadini siano disposti a vendere anche il proprio sangue, pur di rimediare qualche   spicciolo, a costo di contrarre l'Aids come accadde nel 1992 nella provincia dello Henan .
Quando la mano d'opera in campagna risulta in eccesso, oppure in vista di un guadagno   meno miserevole,  molti contadini si recano in città in cerca di lavoro temporaneo. Sono i “lavoratori stagionali”. Spesso non riescono a percepire neppure il salario o vengono pagati in ritardo, per cui sono costretti ad accumulare debiti e, nella maggior parte dei casi,  senza alcuna copertura assicurativa. Se sono particolarmente esperti, arrivano a guadagnare l'equivalente di 7€  per una giornata lavorativa di 12 ore. Gli altri, se tutto va bene, si accontentano di 3 €., circa 25 cent. All'ora.

E' questo  il prezzo umano di un grattacielo costruito a Shanghai in una settimana. Non meraviglia che la autorità governative cinesi si oppongano ostinatamente alla convertibilità del Renminbi.      

Paola Brianti