Il Mes serve: a legarci le mani

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L’opposizione a ricorrere al prestito sanitario è tutt’altro che ideologica: le pericolose “condizionalità pesanti” sono previste dalla norme europee e non bastano lettere e dichiarazioni per disinnescarle. Senza una decisione formale di modifica o sospensione restano un’arma che potrà essere attivata se l’Italia non volesse sottostare a qualche decisione presa dai paesi europei egemoni

Il Mes serve: a legarci le mani

L’opposizione a ricorrere al prestito sanitario è tutt’altro che ideologica: le pericolose “condizionalità pesanti” sono previste dalla norme europee e non bastano lettere e dichiarazioni per disinnescarle. Senza una decisione formale di modifica o sospensione restano un’arma che potrà essere attivata se l’Italia non volesse sottostare a qualche decisione presa dai paesi europei egemoni

Chi rifiuta di ricorrere al Mes, che offrirebbe 36 miliardi permettendoci un risparmio sugli interessi e ponendo solo “condizionalità leggere”, lo farebbe solo per una incomprensibile “pregiudiziale ideologica”. E’ questa l’accusa che viene rivolta ai 5Stelle e agli altri che continuano a sostenere che invece sarebbe una pessima mossa. E allora bisogna ripetere ancora una volta che i motivi sostanziali per starne alla larga ci sono, e l’ideologia non c’entra proprio niente.

Ma prima di ricordare di nuovo che cosa si cela dietro le “condizionalità leggere” richiamiamo un episodio che riguarda Klaus Regling, il direttore generale del Mes, che dispone di amplissimi poteri e le cui azioni, secondo una esplicita previsione dello statuto del fondo, non possono essere contestate in nessun modo, nemmeno per via giudiziaria. Racconta l’ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, nel suo libro di memorie “Adulti nella stanza” (ed. La nave di Teseo), che cercando di ottenere un rinvio al soffocante pagamento delle rate dei prestiti si era rivolto anche a Regling. “Per pagare la rata nei termini stabiliti non avrei i soldi per stipendi e pensioni”, gli aveva detto Varoufakis. E Regling, senza fare una piega: “E allora non pagare stipendi e pensioni”. Questo tanto per inquadrare il personaggio nelle cui mani ci metteremmo.

E veniamo alle “condizionalità leggere”. Un esame accurato di ciò che prevedono le regole del Mes lo ha fatto l’economista Guido Ortona, al cui articolo davvero esaustivo rinviamo chi volesse approfondire i dettagli. La sostanza è che esistono norme e regolamenti specifici che rinviano a tutto l’armamentario di “sorveglianza rafforzata”, giudizi sulla sostenibilità del debito e sull’adeguatezza della politica economica, possibilità che al debitore vengano richiesti (eufemismo che sta per “imposti”) i provvedimenti che il creditore ritiene necessari. Ma allora dove starebbe la “leggerezza”? In questa frase che Ortona puntualmente riporta: “L’unico requisito per avere accesso alla linea di credito sarà che lo Stato richiedente si impegna a usare i fondi per l’aiuto per la crisi pandemica per sostenere il finanziamento delle spese sanitarie, di cura e prevenzione, dirette o indirette dovute al Covid”. Ma, nota l’economista, si parla appunto di requisito per l’accesso, e nulla si dice del dopo.

Ma – obietteranno i fautori del Mes – c’è anche la lettera del vice presidente della Commissione Valdis Dombrovskis e del commissario all’economia Paolo Gentiloni, che assicurano che quella è la sola condizione. Basta una lettera per cancellare ciò che prevedono regolamenti e trattati, che potrebbero essere richiamati in qualsiasi momento dal Mark Rutte di turno? No, non basta: se davvero si voleva che quella fosse l’unica condizionalità si sarebbe dovuta decidere in modo formale una sospensione di quelle regole, come è stato fatto per quelle di finanza pubblica, per quelle sugli aiuti di Stato e per il criterio della “capital key” negli acquisti di titoli da parte della Bce. D’altronde, come sottolinea Stefano Fassina, già 17 paesi hanno fatto richieste di finanziamento al Sure (il fondo per la disoccupazione), ma dal Mes tutti (tranne Cipro) si sono tenuti alla larga. Un motivo ci sarà? Oltretutto, non si erano mai visti esponenti europei – Angela Merkel prima di tutti – che premono perché prendiamo soldi in prestito.

Nell’entusiasmo per il Mes si distinguono vari presidenti di Regione, con in prima fila il segretario del Pd Nicola Zingaretti. E’ noto che la sanità assorbe oltre l’83% dei bilanci regionali (con punte dell’88 o poco meno in Veneto, Toscana ed Emilia Romagna): quei soldi arriverebbero in gran parte a loro, e questo può spiegare in parte il loro interesse. Gli enti locali hanno già dato prova in passato di preferire l’uovo oggi anche se domani non solo non ci sarà la gallina, ma magari dovranno vendere tutto il pollaio. Quando andavano di gran moda i derivati finanziari se ne erano tutti rimpinzati, per un motivo molto semplice: i contratti prevedevano il versamento iniziale di somme non indifferenti a chi li stipulava, e quindi tutti vi ricorrevano allegramente senza preoccuparsi del dopo, spesso senza nemmeno capire il meccanismo ad alto rischio in cui si stavano cacciando. Fu necessario intervenire con una legge per frenare quella corsa, che qualche anno dopo avrebbe presentato un conto salatissimo.

Ma probabilmente il motivo più importante è un altro, e ha a che fare con il “pilota automatico” della politica economica, come un tempo lo definì Mario Draghi. La situazione politica italiana è incerta. Questo governo raccogliticcio si regge sulla mancanza di alternative, o meglio, sulla quasi certezza che l’alternativa sarebbe un governo guidato dalla Lega. Uno schieramento che in Europa non piace affatto, non perché sia di destra, ma perché è considerato populista e fondamentalmente anti-europeo. E allora il Mes diventa un nuovo “vincolo esterno”. Finché alla guida c’è gente come Sergio Mattarella e Roberto Gualtieri, europeisti di ferro, le condizionalità possono rimanere “leggere”: sempre che facciano i bravi e obbediscano quando c’è da obbedire. Ma se il governo italiano si mettesse in testa di deviare da quello che a Berlino e Bruxelles è ritenuto accettabile, la letterina di Dombrovskis si rivelerebbe subito per quello che vale, cioè non più della carta su cui è stata scritta; qualcuno farebbe presente che regole trattati contano più di un impegno informale e tutte quelle altre condizionalità salterebbero fuori. Il “ce lo chiede l’Europa” di buona memoria è acqua passata: con il Mes, saremmo al “ce lo ordina l’Europa”

Carlo Clericetti

Giornalista - Collaboratore di "La Repubblica.it." Membro dell'Editorial Board di Insight. Blog: http://www.carloclericetti.it

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