Il taboo del pareggio del bilancio

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L'ossessione tedesca che ci fa toirnare al mondo pre-keynesiano, quando la cura della depressione consisteva nel taglio della spesa e nell'aumento delle tasse.

Nell’eurozona è tornato il taboo del pareggio del bilancio. Coloro che, come me, hanno studiato economia negli anni sessanta ricorderanno il fascino del modello keynesiano, l’interesse nella descrizione del passaggio dalla finanza neutrale alla finanza funzionale nei testi di Cesare Cosciani e di Sergio Steve, nonché la sorpresa nell’apprendere che bilancio in pareggio non significa bilancio neutro (il famoso teorema di Haavelmo).
 
Certo negli anni settanta il modello keynesiano è stato sottoposto a critiche in parte (ma solo in parte) giuste, ma era difficile pensare che si sarebbe giunti a questa corsa all’inserimento nelle costituzioni europee dell’obbligo del pareggio. E’ chiaro che stiamo pagando dazio ad una ossessione made in Germany, e mi rendo conto che era impossibile per Monti dire: no grazie, è una scempiaggine. Eppure lo stesso Monti non molti anni fa aveva sostenuto che il pareggio del bilancio di parte corrente è giustificato, ma che, per le spese d’investimento, non si vede perché gli enti del settore pubblico, a tutti i livelli, non debbano ricorrere al debito, esattamente come fanno le imprese ed anche le famiglie.

Sorprende comunque l’entusiasmo col quale i deputati hanno approvato il testo; solo 11 astenuti! Mi chiedo se qualcuno di loro abbia letto il recente appello di molti economisti italiani (ed anche qualche tedesco) a favore di un rilancio della domanda a livello europeo, e soprattutto quello di molti premi Nobel, a cominciare da Arrow, proprio contro l’inserimento del principio del pareggio di bilancio in costituzione.

Il vincolo di pareggio del bilancio ha effetti perversi, cioè, come diciamo noi economisti, è pro-ciclico. Quando l’economia rallenta o addirittura arretra, le imposte flettono e la spesa per ammortizzatori sociali aumenta; si mettono in moto i c.d. stabilizzatori automatici.  Se viene imposto l’obbligo del pareggio, nel momento in cui calano le entrate è necessario tagliare le spese, determinando una ulteriore caduta del reddito.  Si pensi a quello che avviene proprio ora sotto i nostri occhi: le politiche restrittive messe in atto da tutti contemporaneamente spingono verso la recessione e innestano un circolo perverso.

Ovviamente esiste il problema di bloccare l’aumento del rapporto debito-Pil. Pensare che si debba agire solo sul numeratore, cioè tagliando il deficit, e non anche sul denominatore, è frutto di una visione ideologica, secondo la quale i problemi all’economia possono venire solo dal settore pubblico. Va detto che la diminuzione del rapporto è possibile anche avendo un (moderato) deficit, se vi è un sufficiente tasso di crescita.

Certo la finanza creativa del governo Karamanlis è stata una iattura, non solo perché ha innestato la valanga che rischia di travolgerci tutti, ma perché ha rafforzato l’opinione, in particolare in Germania, che i governi dell’ex club-Med sono scialacquoni e devono fare una lunga e dura penitenza. Quando invece l’esplodere dei debiti sovrani è la conseguenza delle follie della finanza privata, non di quella pubblica. Portogallo, Irlanda e Spagna avevano nel 2007 un debito più basso di molti altri paesi.

Nel testo approvato alla Camera, c’è qualche “a meno che”, anche se non si capisce perché la recessione debba essere particolarmente severa per poter avere un deficit. Rimane il fatto che nel mezzo della crisi corrente è il sigillo anche simbolico di una politica complessiva di austerità che inesorabilmente è desinata ad approfondire la recessione senza dare una soluzione alla crisi dell’eurozona, anzi con ogni probabilità avvicinandone l’implosione.
 

Ruggero Paladini

Economist - Professor of "Scienza delle Finanze" at University "La Sapienza" Roma; Member of the Economic Board of Insight - ruggero.paladini@uniroma1.it