L’anomalia (non solo) italiana del Movimento 5 Stelle

Sottotitolo: 
La fine della Politica, intesa come confronto tra orizzonti diversi, ricerca di una sintesi, la migliore possibile, tra le differenti  e contrastanti esigenze e visioni delle società.

La “Tempesta perfetta” verificatasi in Europa, grosso modo, tra gli anni 1989 e 1991 (Caduta del Muro e dissoluzione del blocco socialista), salutata anche come “la fine della Storia” e il trionfo del Mondo Libero contro la barbarie del totalitarismo comunista, ha in realtà segnato la fine della Politica, intesa come confronto tra orizzonti diversi, come ricerca di una sintesi, la migliore possibile, tra le differenti, molteplici, contrastanti esigenze e visioni delle società.

All’alba del 1992 di orizzonte ne è restato uno solo, quello del pensiero liberal-radicale, incentrato sulla economia globalizzata e senza più regole, sulle libertà illimitata dei singoli e sugli insopprimibili “diritti” individuali. Di qui l’accentuarsi vertiginoso dell’atomizzazione delle comunità, l’Enrichissez-vous assurto a principio assoluto di libertà e di progresso, l’aprirsi di una forbice sempre più ampia tra chi ha e chi non ha (vedi da ultimo il “Financial Times” del 23 giugno, “More than 5m people become millionaires despite pandemic”, in cui, da un insospettabile osservatorio, si sottolinea la drammatica dinamica divaricante in atto nel mondo nel corso dell’ultima generazione).

La ritirata della politica – e soprattutto la profonda crisi in cui versano i partiti novecenteschi -  ha creato un vuoto, in cui si è riversato il cosiddetto “populismo”, termine con cui le élites internazionali definiscono il “ventre”, che, come racconta l’apologo dell’aristocratico Menenio Agrippa, vuole ribellarsi al cervello che lo vuole guidare “verso il bene comune”. Naturalmente a patto che chi è ventre resti ventre e chi è cervello resti cervello.

Tuttavia il populismo, con tutti i suoi limiti, le sue ingenuità, i suoi errori è pur sempre politica, con l’ambizione di pensare e di operare “sui fondamenti”, sulle prospettive della “polis”, laddove oggi si esercita solo una vacua “politique politicienne”. Non è partito, ma movimento e si fa sentire un po’ in tutta Europa, dall’Ungheria di Orban alla Polonia di Kaczynski, dove è al potere, all’Italia, alla Francia, all’Austria, agli Stati Uniti. Difficile collocarlo entro gli schemi tradizionali di destra e sinistra, che qualcuno vorrebbe obsoleti. Esso risponde a delle esigenze vere e insopprimibili di difesa dei più deboli (le plebi, direbbe qualcuno), mettendo in discussione gli indirizzi più radicali di politica economica in senso liberista, anche recuperando, in taluni casi, valori nazionalistici e familistici.

Certo, lo fa in forme spesso ingenue, potremmo dire pre-moderne, che fanno arricciare il naso ai tecnocrati, contrapponendo Gemeinschaft e Gesellschaft, se non richiamando in vita l’alleanza tra Trono e Altare (vedi Putin in Russia, ma anche Kaczynski in Polonia e se si vuole Erdohan In Turchia). Si tratta di un fluttuante coacervo di elementi contraddittori, che si coagulano talvolta sull’estrema destra e che fanno argine al mondialismo sfrenato del grande capitale e all’internazionalismo dottrinario dei Neo-Illuministi oggi al potere.

In Italia, in particolare, il populismo, già presente nell’avventura berlusconiana della seconda metà degli anni ’80 e nel movimento leghista, trova radici antiche nella tradizione dei capipopolo, da Cola di Rienzo a Masaniello, fino al “Qualunquismo” di Guglielmo Giannini, passando per il dannunzianesimo e lo stesso fascismo. Nel corso degli anni ’90, con il M5S di Giuseppe Grillo, il populismo ha trovato una forma politica affatto peculiare, “arcaica” e moderna al tempo stesso (la centralità della Rete), che si richiama, con il rifiuto ideologico della rappresentanza (Uno vale Uno), all’antica democrazia diretta delle piazze dei Comuni italiani del Medioevo.

La reazione dell’altro “fronte” è stata ed è durissima: considerati poco più che una banda di pericolosi “ragazzini” impertinenti e incapaci, i cosiddetti “grillini” sono stati “bombardati” quotidianamente da stampa e televisione, ormai ridotti a meri megafoni di chi ne ha il controllo (sarebbe interessante sapere come fanno “a stare sul mercato”, secondo i canoni dell’ortodossia economica liberista, i più grandi giornali italiani che, negli anni d’oro, arrivavano a vendere fino a 700.000 copie al giorno e che ora – Il Corriere della Sera e Repubblica” – varcano appena la soglia delle 100.000) con la precisa volontà di annichilire “l’anomalia” che ostacola il pacifico gioco a somma zero tra destra e sinistra, ormai ridotte ad alimentare uno pseudo conflitto  tra “blancos” e “colorados”.

Certo, alla prova del governo, l’ingenuità e l’estraneità ai meccanismi di gestione del potere hanno messo in gravi difficoltà il M5S, pur detentore della maggioranza relativa in Parlamento. L’operazione in corso da parte di Giuseppe Conte, già presidente del consiglio di due governi, dovrebbe portare a una chiarificazione, collocando il Movimento-Partito dei 5 Stelle sull’ala sinistra dello schieramento, ma il fondatore Grillo resiste e l’implosione è alle porte.

Se il “nuovo” M5S – ammesso che nasca - non riuscirà a definirsi con caratteristiche “politiche” forti, se si schiaccerà su un PD sempre più “partito dei diritti e delle élites “progressiste”, senza alcuna connotazione “di classe”, temo che l’operazione avrà come unico esito la scomparsa del M5S.

Tale scomparsa tuttavia non eliminerà affatto il problema della rappresentanza politica del disagio, come vorrebbero i miopi detentori del potere, che guardano il dito e non la Luna, ma aiuterà solo a dislocarlo altrove. In Italia, nella fattispecie, l’altrove rischia di essere una destra estrema che, comunque, “fa politica”, parla di riscatto sociale, di difesa dei deboli, di principi morali, di identità, anche se in chiave razzista e discriminatoria.

Politica e democrazia “simul stabunt, simul cadent”. E’ già successo nella storia europea che la cecità delle classi dirigenti abbia portato a una irridente sottovalutazione del pericolo. Carl Kraus, il grande intellettuale viennese, apre la sua drammaticamente profetica “Die dritte Walpurgisnacht” con la frase “Mir fällt zu Hitler nichts ein”. Cerchiamo di far tesoro di quella lezione.

Claudio Salone

Professor of ancient literatures, Rome - https://claudiosalone39.wordpress.com/

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