L' inconsistente ideologia dell'eurozona

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La politica di "austerità" simultaneamente adottata da quasi tutti gli Stati membri dell'Unione comporta un effetto deflazionistico che non è limitato alla sola Grecia e spinge alla deflagrazione dell'eurozona..

Il lungo match tra la BCE e il Consiglio europeo (in particolare sotto spinta tedesca) sta producendo una soluzione, proposta dalla Francia, che può salvare, almeno momentaneamente, la Grecia, dal default,  con tutte le conseguenze per le banche ed imprese greche, ma non solo greche. Non ci sarà un taglio sul valore dei titoli, ma una “volontaria” partecipazione delle maggiori banche francesi e tedesche, cui parteciperanno anche le altre (le due maggiori banche italiane hanno già annunciato la loro partecipazione), con un reinvestimento a trenta anni tramite uno speciale veicolo finanziario. Lo schema ricorda i c.d. Brady bonds, che negli anni novanta servirono a risolvere la crisi in America-Latina. Ci saranno comunque problemi sul pagamento dei Cds (credit default swaps) se anche la proposta francese sarà considerata equivalente ad un (parziale) default.

Il problema è che anche un interesse del 5,5% potrebbe risultare troppo oneroso per la Grecia. Il punto è che le prospettive di crescita dell’economia greca sono, a dire il meno, piuttosto oscure; negli ultimi tre anni il calo del Pil greco è nell’ordine del 15%, e i tagli di bilancio colpiscono la crescita della domanda interna. Ma è possibile pensare che la Grecia diventi un paese export-led come la Germania?

Questa domanda non è limitata solo alla Grecia; la stressa questione si applica a tutti I paesi mediterranei, e non solo a loro, dato che la stessa Francia ha una bilancia commerciale in deficit,  malgré le minori importazioni di petrolio dovute al prevalere della produzione elettrica basata sull’atomo.

Calcolando, da Eurostat, l’eccesso di importazioni sulle esportazioni in percentuale, troviamo (2010):

Grecia           40.4%
Portogallo     23.1%
Francia           9.2%
Spagna           8.2%
Italia                6.6%

D’altra parte in Germania l’eccesso delle esportazioni sulle importazioni è del 12,9%. Questa è la ragione per cui questo paese ha avuto un forte recupero della produzione industriale dopo la caduta del 2009. Ma per gli altri paesi la crescita deve venire dalla domanda interna, cioè dai consumi e dagli investimenti (che a loro volta dipendono in buona misura dai consumi). Se nonché i recenti accordi (Euro Plus) obbligano i paesi aderenti all’euro a tagliare l’eccesso del debito (cioè quello superiore al 60%) di un 5% l’anno (per la Grecia le misure sono più dure).

Politiche restrittive messe simultaneamente in atto da parte di tutti i paesi europei determinano un effetto deflazionistico. Qui possiamo vedere all’opera la stessa ideologia economica che era presente all’epoca del Patto di Stabilità del 1998. L’idea è che tutti i problemi possono venire solo dai deficit pubblici, per cui se si stabiliscono delle regole severe per impedire i deficit eccessivi, l’economia crescerà regolarmente. Ora è chiaro a tutti che la crisi è venuta dai mercati finanziari, ma poiché la conseguenza è stata la crescita dei debiti pubblici, l’idea è ancora che, per ristabilire la fiducia, i bilanci pubblici devono essere portati rapidamente in pareggio.

Gli effetti espansivi delle politiche fiscali restrittive è una teoria anti-keynesiana che acquistò molti consensi negli anni ottanta, ma ora molti sostenitori hanno dei dubbi sulla validità. In effetti può essere che i consumatori tedeschi siano rassicurati da una politica restrittiva di bilancio (sancita ora anche dalla Costituzione), ma non scommetterei che la stessa cosa sia vera per altri paesi.

Prima dell’euro, vi era una classica soluzione per la Grecia e per altri paesi mediterranei, cioè la svalutazione. Una delle ragioni che spinse la Germania ad accettare la partecipazione dell’Italia nel 1997 fu proprio che le frequenti svalutazioni competitive sarebbero finite. Potrebbe la Grecia uscire dall’euro e svalutare? Secondo molti esperti, la Grecia dovrebbe uscire dalla stessa Unione Europea, con tutte le conseguenze che ciò comporta, tra cui trovarsi con una crisi finanziaria anche più grave di quella attuale.

Amartya Sen  ha scritto http://www.insightweb.it/web/adm_views di ecente: “non è una consolazione per me ricordare che mi ero fermamente opposto all’euro, malgrado il fatto che fossi molto favorevole all’unità europea. La mia preoccupazione è che con l’euro ogni paese avrebbe dovuto rinunziare alla libertà di usare la politica monetaria e del cambio, cosa che aveva molto aiutato i paesi in difficoltà nel passato, permettendo di evitare pesanti destabilizzazioni delle condizioni di vita in frenetici sforzi di stabilizzare i mercati finanziari. Si può rinunziare alla politica monetaria quando si arriva ad una piena integrazione politica e di bilancio (come negli USA), ma il mezzo e mezzo dell’eurozona porta a disastri. La meravigliosa idea politica di un’Europa unita e democratica ha incorporato un precario programma di incoerente amalgama finanziaria”.

Il problema di una crescita per mezzi interni in Europa era al centro del Libro Bianco di Delors del 1993. La sua non era una semplice proposta di una politica keynesiana espansiva, perché attraverso gli investimenti a livello europeo mirava ad un incremento della produttività. Giuliano Amato e Guy Verhofstadt  presentano una proposta (http://www.insightweb.it/web/adm_views , basata su precedenti elaborazioni di Stuart Holland European Bonds, Eurobonds and a new New Deal for Europe)., e appoggiata da molti leader europei, che va nella stessa direzione. Il problema è quello di una volontà politica che sappia guardare lontano e non sia miope.

Ruggero Paladini

Economist - Professor of "Scienza delle Finanze" at University "La Sapienza" Roma; Member of the Economic Board of Insight - ruggero.paladini@uniroma1.it