La BCE torna al 1931

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 Si tratta di una visione di politica economica non nuova, con risultat rovinosi come dimostra il caso della Grecia.

Nel 1931, nel pieno della grande depressione, il segretario al Tesoro Andrew Mellon rivolgeva questi suggerimenti al presidente Herbert Hoover: “liquidate il lavoro, liquidate le azioni, liquidate gli agricoltori, liquidate le case…bisogna sbarazzarsi del marcio nell’economia”. Consigli un po’ rozzi,  ma che hanno una certa affinità con quelli di Draghi e Trichet del 5 agosto scorso, diretti a Berlusconi.

Nella lettera del presidente della BCE e del governatore della Banca d’Italia (e successore di Trichet), si afferma che il deficit di bilancio va realizzato principalmente con tagli delle spese pubbliche; in particolare bisogna intervenire sulle pensioni (anzianità, donne) e sui salari pubblici, agendo sul turnover ma anche riducendoli, se necessario. Dovrebbe poi esserci una clausola automatica per cui ogni peggioramento del deficit darebbe luogo a tagli di tutte le spese discrezionali. Nessun riferimento all’evasione fiscale.

Queste indicazioni rappresentano il secondo punto della lettera; al primo invece si dice che sono necessarie delle misure per rilanciare la crescita potenziale; l’affermazione in sé è certamente condivisibile. Vi sono tre indicazioni specifiche: i) piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali; per i servizi pubblici liberalizzazioni su larga scala. ii) riforma della contrattazione collettiva per modellare salari e condizioni di lavoro alle esigenze delle imprese; viene citato come un passo in questa direzione l’accordo del 28 giugno. iii) una profonda revisione delle regole sui licenziamenti (tipo rimuovere l’art. 18), con la creazione di un sistema di assicurazione per la disoccupazione e di politiche attive per il lavoro (il riferimento è alla c.d. flexsecurity). 
  
In sostanza tutto consiste nelle liberalizzazione dei servizi e del mercato del lavoro, nel quadro delle azioni volte ad aumentare il grado di competitività delle imprese e di efficienza nel mercato del lavoro. Non è questa la sede per approfondire una tematica così complessa, ma sono possibili due osservazioni:

a) l’apertura alla concorrenza di settori protetti, come nel caso dei servizi locali, può avere un effetto positivo sulla crescita se si promuovono gli investimenti e se gli aumenti di produttività vengono passati ai consumatori. Se invece tutto si risolve in privatizzazioni e scarsa regolazione, allora succede solo che aumentano le rendite di qualche società a beneficio degli azionisti di controllo, come l’esperienza di vari settori dei servizi insegna.

b) non è affatto chiaro se le regole di protezione del lavoro siano un ostacolo alla crescita; e comunque una riforma del sistema degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro comporta un significativo aumento delle spese, e non si capisce come sia possibile vararla con le severe strette di bilancio auspicate .

La clausola automatica è poi illuminante di una logica che sta producendo effetti micidiali in Grecia. Le misure prese da Papandreu aggravano la recessione economica che peggiora di due punti, passando quest’anno da -3,5% a 5,5%. Questa più forte caduta aggrava il deficit (dal 7,6% a 8,5% questo anno, e da 6,5% a 7,6% l’anno prossimo, dato che le previsioni parlano ormai di un nuova caduta invece di una ripresa); partono nuove richieste di ulteriori misure (nel caso specifico i licenziamenti). Il risultato è che il debito (in rapporto al Pil) arriverà quest’anno al 162% e a 173% l’anno prossimo; sessantotto punti di aumento in cinque anni, un record assoluto. 

Si tratta di una visione di politica economica non nuova, che si è affermata verso la fine degli anni settanta; sorprende che venga proposta tel quel dopo il cataclisma finanziario scoppiato quattro anni fa. Tra l’altro la strategia seguita sta fallendo su tutta la linea. Quando un anno e mezzo fa scoppia il caso greco, e a seguire quello irlandese e portoghese, gli obiettivi delle autorità europee, non senza contrasti tra BCE e governo tedesco, erano fondamentalmente tre: salvare i crediti delle banche francesi e tedesche, isolare dal contagio altri paesi, in particolare Spagna ed Italia, ottenere una durissima Canossa da parte del governo Papandreu, infliggendo una cura insostenibile. Quest’ultimo punto si ispira al principio di Mao: “colpiscine uno per educarne cento”. Sembra che in tedesco il termine schulde si usa per indicare sia debito che colpa.

Ebbene i crediti delle banche europee sono sempre in maggiore difficoltà e le azioni bancarie sono quelle che hanno avuto le maggiori cadute (vedi ultimamente Dexia) e il default della Grecia le colpirà in misura ben maggiore di quanto sarebbe avvenuto se si fosse provveduto a suo tempo. Il contagio si è esteso anche all’Italia (che ci ha messo molto del suo), alla Spagna, ma in minor misura anche ad altri paesi. L’accanimento (terapeutico?) sulla Grecia sta precipitando la crisi con un sicuro default ed una probabile uscita dall’euro. Last but not least, se il governo tedesco ha agito sotto la spinta di un’opinione pubblica contraria a “pagare” per i vizi altrui, il risultato è una serie di sconfitte elettorali a catena per la signora Merkel.   

Ruggero Paladini

Economist - Professor of "Scienza delle Finanze" at University "La Sapienza" Roma; Member of the Economic Board of Insight - ruggero.paladini@uniroma1.it