La lingua biforcuta della "Spending review"

Sottotitolo: 
I tagli indiscriminati della spesa pubblica peggiorano i servizi senza razionalizzare l'impiego delle risorse pubbliche.

Che la spending review fosse piuttosto una expenditure cut era chiaro fin dall’inizio: lo scopo dichiarato era quello di tagliare un ammontare di spese in modo da rinviare gli aumenti dell’Iva a metà 2013. Ora una vera spending review non ha come primo obiettivo quello di risparmiare spese, ma quello di verificare le modalità di erogazione di servizi pubblici e trasferimenti scegliendo i metodi migliori, riducendo le inefficienze e così via. Da un lavoro del genere certo si ottengono anche risparmi di spese, ma vanno verificati ex post e non definiti ex ante.

Il titolo del decreto legge è “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica ad invarianza dei servizi ai cittadini”,  ma, dicevano gli indiani “parla con lingua biforcuta”. Sui quasi 8,4 miliardi al 2014 infatti ben 7,5 derivano dal titolo III “Razionalizzazione e riduzione della spesa sanitaria” (2 miliardi) e dal titolo IV “Razionalizzazione e riduzione della spesa degli enti territoriali” (5,5 miliardi).

In effetti il termine che conta non è il primo (razionalizzazione), ma il secondo (riduzione). Ignazio Marino ha fatto un esempio che trovo calzante: a Roma ci sono cinque centri di trapianti di fegato, che in totale l’anno scorso hanno eseguito meno di cento interventi; a Torino ce n’è uno solo, che ne ha eseguito più di cento. La razionalizzazione agisce nel senso di riportare a Roma l’esperienza di Torino, mentre la riduzione taglia i fondi più o meno salomonicamente a tutte e due le città.

Un altro caso tipico riguarda il mondo della ricerca: non si era spento l’eco della scoperta al Cern del bosone di Higgs, e i media avevano sottolineato l’importante partecipazione italiana, che il Presidente dell’INFN, Fernando Ferroni, segnalava che il suo Istituto aveva ricevuto un invito da Napolitano, e allo stesso tempo la notizia di un taglio di risorse per i due anni successivi.

Ora è difficile pensare che l’INFN non sia un ente meritevole, anzi per la verità è un fiore all’occhiello della ricerca italiana. Il punto è che tutto il comparto è da tempo penalizzato. Dagli stessi dati del MEF vediamo che gli enti di ricerca hanno ricevuto nell’ultima decina di anni risorse che non coprono l’inflazione. Nel 2008 le entrate totali degli enti di ricerca hanno avuto un picco con 2.885 milioni, poi nei due anni successivi c’è stato un calo assoluto dell’8,3% (stima 2010, ultimo anno fornito dalla Relazione Unificata), cioè 237 milioni in meno. Nella manovra per il complesso della ventina di enti di ricerca la riduzione è di 88,4 milioni (2013 e 12014).

Non voglio sostenere che la ricerca in Italia, tra università ed enti, sia organizzata nel migliore dei modi; probabilmente ci sarebbe molto da rivedere, ma la logica dei tagli targati MEF è puramente da ragionieri. E l’INFN ha ricevuto dei tagli maggiori di altri enti semplicemente perché la quota di spesa per il personale è minore, quindi c’è più margine per tagliare sulla tecnologia.

La risposta di Monti e Grilli è ovviamente questa: se non vi stanno bene i tagli allora ricordatevi che c’è l’Iva che ci attende. Ora dovrebbe essere chiaro a tutti che a un paese che ha una recessione di due punti di Pil non serve né una ulteriore manovra restrittiva di aumento delle imposte indirette (il cui effetto è particolarmente grave, anche in termini equitativi), e neppure la spending review alla MEF. In una recente intervista Ignazio Visco ha definito un errore “considerare l’impiego pubblico un peso morto, un’area di negatività”, aggiungendo che occorre muoversi nella direzione di aumentare gli investimenti, indicando “due grandi aree. Un ampio progetto di manutenzione immobiliare dell’Italia, di cura del territorio, una terapia contro il dissesto idrogeologico…Si faccia un piano, pubblico e privato, con il concorso dei fondi europei”.

Per concludere, vorrei aggiungere che se è vero che l’impianto di fondo del decreto è errato, qualche cosa che si avvicina ad una spending review nel senso proprio del termine c’è. L’estensione del ruolo della Consip negli acquisti, la revisione degli uffici giudiziari, ristrutturazione delle Province e dei piccoli comuni, sono aspetti che, in una diversa ottica, possono mirare ad accrescere l’efficienza della pubblica amministrazione e, secondariamente, risparmiare anche risorse. Ma dire che, se i Comuni non realizzano gli obiettivi la spesa di beni intermedi dell’anno scorso viene tagliata del 50%, è rovinare un’ipotesi di lavoro interessante.   

Ruggero Paladini

Economist - Professor of "Scienza delle Finanze" at University "La Sapienza" Roma; Member of the Economic Board of Insight - ruggero.paladini@uniroma1.it