La stagione di uno shock della politica europea

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I  deludenti risultati dell'eurozona e la crisi dei partiti di centro-sinistra annunciano una possibile svolta con le elezioni europee di maggio.

Dieci anni dopo la crisi globale del 2008 l’eurozona continua a vivere in una condizione di sofferenza. Il 2018 si è chiuso  con il peggiore risultato economico degli ultimi anni. Il reddito annuo dell’eurozona è cresciuto nell’ultimo trimestre dell’anno dello 0,8 per cento. La disoccupazione oscilla mediamente intorno al’8 per cento; in Italia è stabilmente al disopra del 10 e in Spagna supera il 14 per cento. Negli stati Uniti, dove la crisi globale ebbe inizio nel 2008, il reddito nazionale è cresciuto nel 2018 intorno al 3 per cento mentre la disoccupazione ha toccato il livello più basso degli ultimi decenni.

L’euro era nato all’inizio dl secolo per fare dell’eurozona un’area di  alto sviluppo in grado di competere a livello globale con gli Usa e la nascente potenza cinese. Secondo le previsioni degli uffici della Commissione europea, la disoccupazione nell’Unione europea si sarebbe ridotta a un livello fisiologico oscillante fra il 2 e il 3 per cento entro il primo decennio. Previsioni che non potevano subire una più clamorosa smentita.

Il dato più sorprendente  è la recessione che, nel corso del secondo semestre dell’anno ha colpito, oltre all’Italia, la Germania, la maggiore potenza economica in Europa e la quarta a livello globale. La caduta dell’economia si riflette sulla scena politica, e la coalizione di centrodestra  CDU-CSU ha perduto sistematicamente voti nelle recenti elezioni di alcuni importanti Lander.  In altri termini, la crisi dell’eurozona spinge verso uno spostamento dell’asse politico verso l’estrema destra,  come in Spagna,  dove oltre ad affermarsi la destra di  Ciudadanos, cresce l’estrema destra di  Vox  (A. Baylos -  España y las próximas elecciones europeas).


Il ristagno dell’economia, la persistenza di un elevato livello di disoccupazione e l’aumento delle diseguaglianze hanno provocato un generale slittamento a destra della politica europea con il crollo inarrestabile della socialdemocrazia e, in generale, dei partiti di centrosinistra, che all’inizio del secolo furono i principali artefici de passaggio all’euro,diventandone ora, paradossalmente, la vittima sacrificale. I casi della Francia, della Germania e dell’Italia ne sono una chiara conferma.

Nell’ultimo ventennio del secolo scorso,la Francia era stata con Mitterand, Delors e Jospin  l’indiscussa protagonista del passaggio all’euro – si potrebbe dire, in effetti, della sua “invenzione”. Con la clamorosa sconfitta di Hollande, nella primavera del 2017, il Partito socialista francese, ridotto a un umiliante 6 per cento del voti, è sostanzialmente scomparso dalla scena politica. E’ salito all’Eliseo Emmanuel Macron , un leader senza partito alla testa dell’improvvisato movimento “En marche”, proclamato né di destra, né di sinistra. Ma la stella di Macron si è rapidamente eclissata. Non sono ancora passati due anni, quando i sondaggi gli attribuiscono un risultato alle prossime elezioni europee intorno al 20 per cento dei voti in concorrenza con il nuovo “Rassemblement National” di Marine Le Pen che potrebbe risultare il primo partito.

In Germania, dove la socialdemocrazia annoverò tra le sue fila cancellieri famosi come  Willy Brandt e Helmut Schmidt, e poi il cancellierato di Schroeder a cavallo del secolo, ha subito nelle elezioni del 2017 la  più grave sconfitta della storia del dopoguerra, riducendosi al 20 per cento dei voti. Successivamente, ha continuato a perdere voti nei Lander in cui si è votato e i sondaggi gli attribuiscono intorno al 15 per cento dei voti nelle elezioni europee, quando potrebbe essere sopravanzata non solo dai Verdi, ma anche da Alternativa per la Germania, il nuovo partito di estrema destra.

In questa scia di sconfitte si colloca il Partito democratico in Italia che, dopo aver superato il 40 per cento dei voti nelle elezioni europee del 2014, ha visto più che dimezzare i voti nelle elezioni politiche di marzo 2018, quando Cinque stelle e Lega hanno sorprendentemente conquistato oltre la metà dei voti, formando la nuova coalizione di governo. Una novità clamorosa in un paese che nell’ultimo quarto di secolo aveva visto alternarsi al governo la destra di Berlusconi e il centrosinistra guidato dal Partito democratico.

La nuova coalizione che ne ha preso il posto è formata da partiti eterogenei per origine  e programmi. La Lega di Salvini come partito autenticamente di destra che, come tutta la destra europea, si caratterizza per la lotta all’immigrazione, per “legge e ordine” e per la riduzione delle tasse come viatico per ridurre il ruolo dello stato nel campo economico e sociale. Dall’altra parte, Cinque stelle, il movimento guidato da Di Maio  che, pur andando a caccia di voti proclamandosi “né di destra né di sinistra”, si muove lungo  le linee di un più ampio intervento pubblico e di politiche sociali, semplificate dal Reddito di cittadinanza, che in passato sarebbero state considerate misure chiaramente di sinistra.

Una coalizione di governo per molti versi innaturale, ma senza alternative, se non potenzialmente un’alternativa di destra, capeggiata dalla Lega che, secondo i sondaggi, oscilla intorno a un terzo degli elettori, mentre perdono terreno le Cinque stelle. Alle elezioni europee per la prima volta l’Italia, paese fondatore dell’Unione e dell’euro, tradizionalmente fedele alla politica europea . si presenterà con un governo formato da partiti se non formalmente  euroscettici nella sostanza ostili alla tradizionale e fallimentare politica dell’eurozona.

La crisi dei partiti di centrosinistra e l’avanzata della destra euro-critica, quando non euroscettica, nei tre principali paesi dell’eurozona è destinata a riflettersi nella composizione del nuovo Parlamento europeo e, di riflesso, nella futura Commissione Europea.  Il potere decisionale si trasferirà, in ultima istanza, nel Consiglio dei ministri europeo, all'interno del quale potrà agire una minoranza di blocco in grado di condizionare la politica dell’Unione. In sostanza, Il potere pressoché assoluto finora esercitato dalla Commissione europea assumerà verosimilmente una sostanziale dimensione intergovernativa.

Crescerà il peso dei governi e, in particolare, dei tre paesi (Germania, Francia e Italia) che da soli, con oltre 200 milioni di abitanti, rappresentano la maggioranza dei cittadini del’eurozona. Questo non significherà un mutamento istantaneo e generale della politica dell’eurozona. Ma, per molti versi, ne rivoluzionerà il modello di governance.
Ciascun governo tornerà a essere responsabile della propria politica economica e sociale, senza poterne scaricare la responsabilità sugli organismi comunitari.

L’euro  potrà tornare ad avere il ruolo originario fissato a Maastricht di moneta unica senza la sovrapposizione  di politiche fiscali tanto arbitrarie quanto prive di senso, come l’obbligo del pareggio di bilancio. Il ritorno alle norme originarie dell’eurozona consentirà una politica  economica flessibile nell’ambito di un disavanzo di bilancio del tre per cento, salvo circostanze eccezionali derivanti dagli squilibri interni, come un insostenibile livello di disoccupazione, o dall’andamento della congiuntura internazionale.

Sarà possibile realizzare un cambiamento di rotta in questa direzione? Sarà difficile che possa verificarsi senza strappi , dissensi e scontri con la vecchia leadership dell’UE anche dopo le novità che seguiranno le prossime elezioni europee.
Rimane il fatto che l’eurozona è un campo minato da venti anni di risultati deludenti che ne hanno fatto l'area con minore crescita e maggiore disoccupazione nel mondo sviluppato.

Col  superamento del dominio della tecnocrazia di Bruxelles il quadro politico europeo diventerà più trasparente, e i governi degli stati membri dovranno  dar conto agli elettori delle proprie scelte, senza potersi nascondere dietro l’alibi delle misure dettate da Bruxelles. L’euro potrà sopravvivere una volta liberato dalla corda al collo della coppia austerità-riforme strutturali. E la sinistra europea potrà tornare ad avere un ruolo solo riconoscendo i propri errori e rinunciando alla nostalgia di un ritorno al passato  dell’eurozona dimostratosi fallimentare, e da cui ha tratto solo una lunga sequenza di sconfitte.

Antonio Lettieri
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