Otto paesi del nord e UE

Sottotitolo: 
La rigidità delle regole come paradigma inviolabile dell'Unione europea.

Il via libera alla formazione del governo in Germania, da parte del partito socialdemocratico, ha immediatamente prodotto una reazione da parte dei governi olandese, svedese, danese, irlandese e finlandese, nonché dei tre paesi baltici. Guidati dal leader olandese Mark  Rutte, gli otto paesi hanno lanciato un messaggio esplicitando un no preventivo a probabili proposte di rilancio delle politiche comunitarie, da parte di Francia e Germania, basate sulle idee a suo tempo indicate da Emmanuel Macron.

Il presidente francese era stato piuttosto cauto, ma comunque nelle sue proposte vi era una certa maggiore enfasi su politiche macroeconomiche di stabilizzazione condotte da un ministro delle Finanze europeo. Quindi niente condivisione dei rischi sui debiti o euro-bond, ma, ad esempio, Macron proponeva la creazione di un fondo europeo per la disoccupazione, ipotesi formulata anche dall’Italia. Gli otto paesi del nord respingono qualunque proposta che comporti un aumento delle competenze a Bruxelles, sottolineando la necessità del rigido rispetto delle regole del fiscal compact. Insomma no all’Unione dei trasferimenti.   

La caratteristica che unisce gli otto paesi è che hanno tutti governi di destra, ma forse si deve guardare anche ai dati macroeconomici, che possono fornire utili informazioni. La prima cosa che si può notare è che si tratta di paesi di minore dimensione: il più grande, l’Olanda, ha una popolazione pari al 36% rispetto a quella spagnola, anche se il PIL è pari al 50%. In questi paesi la quota dell’export rispetto al PIL è molto elevata. Con l’eccezione della Finlandia (35,6%, quota comunque maggiore di Francia, Italia e Spagna), gli altri sette paesi hanno quote che vanno da 45,3% della Svezia a 121,6% dell’Irlanda.

Nei paesi dove la domanda esterna ha un peso così rilevante c’è meno bisogno di sostenere la domanda interna, al fine di far crescere il PIL. L’attivo della bilancia delle partite correnti arriva a 8,6% in Olanda, 8,4% in Danimarca e 5,5% in Irlanda. Di conseguenza la politica di bilancio può essere restrittiva, con bilanci pubblici prossimi al pareggio e debito pubblico basso.

Dati Eurostat 2017 (crescita PIL) e 2016 (surplus-deficit e debito)

Paesi

Crescita PIL in%

Surplus o deficit in%

Debito pubblico in%

Danimarca

2,1

-0,6

37,7

Estonia

4,9

-0,3

9,2

Finlandia

2,1*

-1,7

63,1

Irlanda

5,1*

-0,7

72,8

Lettonia

4,5

0

40,6

Lituania

3,8

+0,3

40,1

Olanda

3,1

+0,4

61,3

Svezia

3,2

+1,1

42,2

Dati 2016

Da notare che il rapporto debito-PIL più alto, quello dell’Irlanda, era arrivato al 119,6% dopo la crisi delle banche, che aveva costretto il paese a uscire dal mercato finanziario e chiedere aiuto al fondo europeo salva-stati. L’Irlanda è da tempo oggetto di critiche per una politica da paradiso fiscale, con l’aliquota al 12% sui redditi societari, e recentemente Pierre Moscovici ha espresso ufficialmente le critiche della Commissione Europea ad Irlanda, Olanda ed altri paesi. 

Gli otto paesi presentano comunque tassi di disoccupazione ancora piuttosto elevati; si va dal 9,4% della Lettonia al 5,9% dell’Olanda. Con un debito pubblico basso, la scelta economicamente più logica dovrebbe essere quella di aumentare, in deficit, la spesa pubblica, in particolare quella per investimenti. Non bisogna essere keynesiani al cento per cento per capire questo, ma la scelta politica dei governi di destra è piuttosto quella di ridurre le imposte.

Là dove si nota una profonda differenziazione tra i paesi è nella posizione patrimoniale netta sull’estero, cioè la differenza tra crediti e debiti tra residenti e non residenti (Net international investment position). Abbiamo infatti due paesi con un forte attivo (simile a quello tedesco): Olanda 67,6% e Danimarca 54,8%; invece Irlanda e i tre paesi baltici hanno una posizione negativa, in particolare quella irlandese, che è fortemente negativa: -176,2%. I paesi baltici vanno da un minimo di -37,1% dell’Estonia ad un 58,9% della Lettonia. Gli altri due paesi sono più prossimi alla parità, con un leggero attivo (+10,5%) della Svezia e un quasi pareggio (-2,3%) della Finlandia. Nell’ipotesi di un rialzo dei tassi che inneschi una fase recessiva generalizzata, o anche di una nuova crisi finanziaria, la tigre celtica e quelle baltiche dovranno affrontare situazioni non facili.

Ruggero Paladini

Economist - Professor of "Scienza delle Finanze" at University "La Sapienza" Roma; Member of the Economic Board of Insight - ruggero.paladini@uniroma1.it