Un pamphlet di Luciano Canfora sulla decadenza della politica

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Al  fenomeno di spossessamento per logoramento della democrazia rappresentativa, Canfora accosta quello del conformismo (servilismo?) giornalistico.

Un libello sapido, umoroso, splendidamente scritto, che ci interroga: esiste la democrazia, “anche quando il ‘demo’ se n’è andato?” (p. 67); ma soprattutto capace di andare al cuore del problema, la permanenza e il senso della democrazia, in Italia e nell’occidente globalizzato, in poche (settantaquattro), densissime pagine.

Il titolo è ossimorico (La democrazia dei signori), ma meglio non si potrebbe definire la condizione in cui versa la forma in cui oggi “il popolo esercita la sua sovranità” (art. 1 della Costituzione). Una sovranità, ahinoi, esangue, che si esprime in vuote ritualità parlamentari (più mite eco dell’aula sorda e grigia d’un tempo), prive di rappresentanza e sostanza deliberativa.

Luciano Canfora analizza questi esiti e ne isola i fattori generativi.

Innanzi tutto “le costringenti strutture internazionali”, cioè a dire i rapporti di forza globali, che fanno delle nazioni delle mere pedine sulla scacchiera planetaria, prive in buona sostanza di autonomi poteri, se non all’interno di un gioco in cui gli schemi vengono dettati altrove, nei vecchi imperi e in quelli eligendi.

Tali strutture, che pure sono percepite come esistenti e operanti, se non analizzate con sufficiente lucidità generano visioni paranoidi (complotti dei “poteri forti”), che favoriscono risposte viscerali e identitarie, come i rinati nazionalismi, soprattutto nell'ex Europa orientale) oppure visioni irenistiche, di un “Progresso” in fieri, indubitabile e irreversibile, fatto di buoni sentimenti, di ritorno alla Natura, di Inni alla Gioia e di europeismo à la carte, da cui sono travolte le mielose retoriche delle “ex sinistre”.

Canfora inserisce per questo e in primis la situazione italiana “in una partita di rilevanza internazionale”, sovradeterminata in particolare da quello che egli definisce il “fattore UE”. La storia dei governi Ciampi, Monti e adesso Draghi è lì a testimoniarlo. Caustico e tristemente vero è il richiamo che l’A. fa a Napolitano, che nomina Monti senatore a vita il giorno prima di convocarlo: “enorme passo avanti rispetto al modus operandi di Caligola”.

La cessione di sovranità dell’Italia a una UE priva di garanzie democratiche autentiche (quanti conoscono l’articolazione del potere nella UE, tra Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo?), dotata di un paradossale e pletorico Parlamento che, pur eletto dai cittadini, non conta pressoché nulla se non come foglia di fico democraticistica, ha contribuito non poco a generare sfiducia e rassegnazione nelle istituzioni in generale, manifestatesi nel vertiginoso declino del numero degli elettori un po’ in tutta l’area UE.

Le ultime elezioni suppletive svoltesi nella Capitale, dove, in un collegio ZTL della Roma bene è andato a votare solo l’11% degli aventi diritto, stanno lì a dimostrare quanto Canfora dice a proposito del ritorno del “suffragio ristretto”, peraltro auspicato dai partiti “elegantemente progressisti”. Eppure, c’è chi ha parlato impunemente di “plebiscito” per la candidata vincente, oppure, come Italia Viva, ha tacciato di mendacio i sondaggi perché il suo candidato ha preso il 12,9% e non il 2,3 di cui viene accreditata a livello nazionale, omettendo di dire che, in termini assoluti, si tratta di 2.300 voti circa su 180.000 di un collegio elettorale antropologicamente favorevole al renzismo-calendismo.

A questo fenomeno di spossessamento per logoramento della democrazia rappresentativa, Canfora accosta giustamente quello del conformismo (servilismo?) giornalistico, “antica tabe”, ma ancora oggi assai virulenta. Basti pensare al busto di Cavour che si inchina al passaggio di Draghi, alle lodi sperticate per un presidente del consiglio “che tira diritto” e dice apertamente di non badare a quanto dicono i partiti (e quindi il Parlamento), ma di pensare “solo” a governare.

Tutto questo si riflette nella vistosa diminuzione del numero dei lettori della carta stampata, ma anche dei fruitori del cosiddetto “infotainment” televisivo. Essa pare rivelarsi funzionale agli scopi di chi possiede le testate: i giornalisti infatti, spesso precarizzati nel senso etimologico del termine e quindi ricattabili, non rispondono più al pubblico dei lettori/ascoltatori, ma all’editore di riferimento, che in tal modo è in grado di influenzare gli equilibri di potere agendo su un corpo elettorale sempre più ridotto e “acculturato” (i “signori” di Canfora). E poi, come non pensare al “panem et circenses” a proposito dell’uso bombastico, ai limiti del ridicolo (“La storia siamo noi”), fatto dei risultati sportivi italiani, che Canfora giustamente richiama e che è servito a coprire ben altre e fondamentali deliberazioni (l’accenno ad “Antigone Cartabia” - p. 16 - è quantomai azzeccato).

Il richiamo al pensiero di Croce (1912) e di Gramsci (1933) a p. 58 apre secondo me alla questione delle questioni: la scomparsa dei partiti “costituzionali”. Già un secolo fa i due pensatori offrivano una persuasiva spiegazione alla condizione dell’oggi, il primo affermando che “l’esperienza mostra che il partito che governa, o sgoverna, è sempre uno solo e ha il consenso di tutti gli altri che fanno le finte di opporsi”; il secondo chiamando in causa il cosiddetto “parlamentarismo nero”, che governa effettivamente anche laddove funziona il parlamentarismo tradizionale, con il tradizionale gareggiare tra partiti rivali.

I partiti di massa e interclassisti (la DC e, seppure in misura minore il PCI) non ci sono più, ma il loro ruolo di partiti-stato, in grado di assorbire e mediare spinte e contraddizioni si è reincarnato nel PUA, il “Partito Unico Articolato”, da noi facilmente identificabile con l’attuale coalizione di sostegno a Draghi.

Cos’altro è la cosiddetta “Unità Nazionale”, invocata quotidianamente e ben serrata da uno stato di emergenza mantenuto oltre ogni limite se non, mutatis mutandis, una riedizione – imbarbarita – della vecchia Balena Bianca, in cui trovano posto istanze spesso opposte, tenute insieme da scelte di campo non negoziabili (atlantismo, europeismo)? È poi così assurdo considerare PD, Lega, M5S addomesticato, Forza Italia et alia minora come neo-correnti democristiane? Come spiegare altrimenti la richiesta a sedersi tutti al medesimo tavolo avanzata dai maggiori esponenti di quelle forze?

Questo e molto altro nel pamphlet canforiano (le morti bianche, il welfare svuotato, le contraddizioni della politica economica europea e italiana, il ruolo futuro di Mario Draghi nel dopo Merkel come “il nuovo perno di una UE rimessa in riga”) che ne raccomandano la lettura come una boccata d’ossigeno di intelligenza e cultura autentiche.

Claudio Salone

Professor of ancient literatures, Rome - https://claudiosalone39.wordpress.com/