Uno spettro si aggira in Europa?

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Limiti e contraddizioni del "contratto" alla base del governo di coalizione fra Cinque stelle e Lega.  

Il nuovo governo italiano è in buona misura “made in Berlin”, a causa della dottrina dell’austerità. Ma l’Italia non uscirà dall’eurozona, almeno nel prossimo futuro, e probabilmente non effettuerà una manovra di svalutazione fiscale. Il programma del governo Lega-M5S sarà attuato solo parzialmente e a piccole dosi. Macron riceverà probabilmente un appoggio dal nuovo governo ma senza particolari risultati.

Leggendo il “contratto di governo”, cioè il programma frutto dell’accordo politico tra le due formazioni politiche, Lega e M5S, che però non si può chiamare col suo nome a causa della mitologia penta-stellata, ci si rende conto che si tratta della giustapposizione dei due programmi elettorali; dove è facile riconoscere i capitoli del M5S (es. “ambiente, green economy e rifiuti zero”) e quelli della Lega (es. “immigrazione, rimpatri e stop al business”). Troviamo la principale proposta leghista della flat tax e la principale proposta penta-stellata del reddito di cittadinanza, oltre allo “stop alla legge Fornero”, obiettivo condiviso da entrambe le forze politiche.

Un programma di quel tipo è, come minimo, un programma di legislatura, e forse più di una. La flat tax implica una perdita di gettito sui 50 miliardi, il reddito di cittadinanza costa 27 e non 17 miliardi, per la revisione della legge Fornero il “contratto” afferma di voler limitare la spesa a 5 miliardi. Siamo già oltre gli 80 miliardi, solamente per questi tre punti del programma. In un articolo inviato al principale giornale economico (Il Sole 24 Ore) il 24-4-18 Paolo Savona sottolineava la contraddizione tra la permanenza dell’Italia nell’eurozona e l’attuazione piena del programma. Suggeriva quindi al Presidente della Repubblica di indire nuove elezioni affinché gli elettori potessero effettuare una scelta consapevole. E dire che il medesimo veniva sospettato di preparare in segreto un “piano b” per l’uscita dell’Italia dall’eurozona.

La complicata, e a volte risibile, vicenda della formazione del governo (alla Monty Python, è stato detto) ha portato il Prof. Savona ad occuparsi dei dossier comunitari; potrà litigare con Bruxelles quanto vorrà, ma non sarà lui a formulare la legge di stabilità e non siederà all’Ecofin. Almeno per il prossimo futuro non si scorge nessuna deliberata scelta di Italexit. E probabilmente non vi sarà l’aumento dell’IVA, né per finanziare la diminuzione dei contributi sociali a carico dei datori di lavoro, né per finanziare (in parte) la flat tax. Il ministro dell’Economia sembrava sensibile a questa vecchia richiesta del mondo imprenditoriale, ma la preoccupazione per l’aumento dei prezzi che seguirebbe all’aumento dell’IVA è molto forte.

Se negli indirizzi politici del governo si scorgono chiari segni xenofobi, la politica economica del “contratto” presenta tipiche connotazioni di destra, con redistribuzione a favore dei ricchi e (in minor misura) dei poveri, quindi a danno delle classi medie; un indirizzo completamente sbagliato anche dal punto di vista macroeconomico. E’ vero che nel “contratto” si parla di “investimenti ad alto moltiplicatore”, ma in realtà la manovra più consistente (50 miliardi), cioè la
flat tax, distribuendo soldi soprattutto ai redditi alti, avrà un moltiplicatore molto basso, sia per la bassa propensione al consumo che per l’alta quota di importazioni sui beni di consumo.

Un moltiplicatore più alto dovrebbe averlo il reddito di cittadinanza, che in realtà è un reddito minimo garantito e sottoposto a prova dei mezzi, sulla linea dell’esistente reddito d’inserimento. Tra l’altro così come presentato dal M5S presenta non pochi problemi; è troppo generoso con il singolo e troppo avaro con la famiglia con tre o quattro persone. Rischia cioè di finanziare l’acquisto di smartphone o altri gadget elettronici. Un uso di buoni a destinazione specifica potrebbe attenuare questi rischi. Non si vedono nel “contratto” programmi concreti d’investimenti nella tutela del territorio, messa in sicurezza delle scuole ed altri edifici pubblici, finanziamenti alla ricerca e alla università.

Peraltro, come si è accennato, la prossima legge di bilancio non conterrà flat tax e reddito di cittadinanza, ma quasi sicuramente un allentamento alle regole di pensionamento, molto impopolari, che erano state varate dal governo Monti; però se il governo vorrà rimanere nella spesa di cinque miliardi, dovrà scontentare qualche aspirante pensionato.    

Per quanto riguarda i rapporti con la UE e soprattutto con gli altri paesi dell’eurozona vi sono dichiarazioni che sembrano più rivolte all’elettorato italiano che alle cancellerie europee. Come ad esempio chiedere “semplicemente” la revisione dei Trattati. Soprattutto in una situazione in cui molte importanti decisioni possono essere prese, nel bene o più probabilmente nel male, senza necessità di mettere mano ai Trattati.  

Inoltre un certo grado di dilettantismo si nota sia in ciò che è rimasto nel “contratto” che in ciò che è stato tolto. Ad esempio a proposito del deficit si afferma che “riteniamo necessario scorporare la spesa per investimenti pubblici dal deficit corrente in bilancio, come annunciato più volte dalla Commissione europea e mai effettivamente e completamente applicato”. E’ banale osservare che nel deficit corrente mai Eurostat si è sognata di inserire le spese in conto capitale. Quello che si voleva dire è che nel calcolo del deficit (strutturale) valevole per il rispetto del Fiscal compact, non si dovrebbe tener conto delle spese di investimento. Cosa completamente condivisibile anche da persone ortodosse come Mario Monti.

Una proposta che è sparita è quella della cancellazione, per 250 miliardi, dei titoli pubblici detenuti dalla Banca d’Italia, nell’ambito degli acquisti della BCE col programma del QE.  E’ invece rimasta la seguente proposta: “ci attiveremo in sede europea per proporre che i titoli di Stato di tutti i Paesi dell’area euro, già acquistati dalla Banca centrale europea con l’operazione del quantitative easing, siano esclusi pro quota dal calcolo del rapporto debito-PIL”.

La proposta che è rimasta è una curiosa interferenza nei metodi statistici di Eurostat, come se poi i mercati finanziari non siano in grado di valutare il “vero” livello del debito. La proposta che è stata cancellata era un modo molto maldestro di porre un importante tema: cosa fare della montagna di titoli acquistati, per tutti i paesi dell’eurozona, dalla BCE. La proposta che avrebbe senso è quella per cui la BCE dovrebbe tenere a tempo indefinito i titoli sovrani acquistati, rinnovando di volta in volta quelli in scadenza. Infatti fino a che un titolo è nel bilancio di una Banca Centrale, è come non esistesse, e non costituisce un onere per il Tesoro, in quanto gli interessi sono retrocessi, il che spiega come mai da quando c’è il QE la Banca d’Italia abbia aumentato le somme retrocesse al Tesoro fino ad un ammontare di cinque miliardi.

Infine nel “contratto” non si parla di alcuni temi che saranno oggetto di discussione, e probabilmente decisione, nei prossimi vertici europei: bilancio europeo e completamento dell'unione bancaria. Questi temi sono stati ricordati dal Presidente incaricato nella sua prima dichiarazione pubblica, su evidente sollecitazione del Presidente della Repubblica. Da ricordare che sul tema delle banche, la Commissione di Bruxelles presenterà una proposta sui Sovereign bond-backed securities (cartolarizzazione di titoli pubblici detenuti dalle banche).

            Per quanto riguarda i ministri incaricati dei rapporti con l’Europa, il governo non si presenterà con la coppia “poliziotto cattivo, poliziotto buono”, ma con un trio: poliziotto cattivo (Savona), poliziotto buono (Tria), poliziotto colluso (Moavero). Sarà interessante vedere cosa ne uscirà fuori.

Ruggero Paladini

Economist - Professor of "Scienza delle Finanze" at University "La Sapienza" Roma; Member of the Economic Board of Insight - ruggero.paladini@uniroma1.it