Vivere del lavoro, non per il lavoro

Abstract: 

La crisi ha confermato che la vulgata secondo la quale i si comportano in modo razionale e che in caso di irrazionalità siano in grado di autocorreggersi, è del tutto priva di fondamento. Nell’economia reale decine di milioni di persone hanno perso il lavoro. Altri hanno perso la casa. Alcuni hanno perso tutto. Ma questo prezzo viene ritenuto, da manager e finanzieri, un semplice, seppure spiacevole, “danno collaterale”. L’attività finanziaria è sempre più scollegata dalla realtà, ma ha anche la forza di distruggere la ricchezza di interi settori industriali e paesi. Intanto, l’euforia per l’economia immateriale sembra avere perso molto del suo slancio e si torna a difendere anche il lavoro tradizionale, che sembrava un’anacronistica sopravvivenza del passato.
La crisi impone anche un ripensamento dell’ideologia della crescita che, quando diventa lo scopo collettivo della vita di tutti finisce per affossare il senso vero della vita. Bisognerà cominciare a rinunciare all’individualismo sfrenato degli ultimi decenni ed a tornare a privilegiare il “noi” rispetto all’“io”. Il noi del volontariato, dell’aiuto reciproco, dei rapporti di vicinato.
E bisognerà  ripensare il “concetto” di lavoro che abbiamo ereditato e il suo ruolo nella vita delle persone, come in quella sociale. E questo significa  affrontare il problema di una più efficace, perché più equa, ripartizione del lavoro. Ripensando al tempo stesso i sistemi di sicurezza sociale in termini di diritti, poiché non bastano le pratiche filantropiche. Ma i processi di cambiamento non possono essere affidati alla “tecnica”. E’ la crisi stessa a imporre il ritorno a una rinnovata concezione della politica.
 

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Pierre Carniti

Pierre Carniti è stato Segretario Generale della CISL e membro del Parlamento europeo