La stagnazione secolare e la massaia tedesca

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La "Stagnazione secolare" evocata da Summers è un argomento controverso, ma è sicuro che la politica di austerità, basata sulla teoria di Angela Merkel della "casalinga tedesca", può solo peggiorare l'attuale crisi dell'eurozona.

Ai primi di novembre dello scorso anno, in occasione dell’Forum economico del FMI, Larry Summers pronunciò un breve discorso nel quale vi erano due parole che da tempo non si udivano più: stagnazione secolare. Summers è preoccupato dal fatto che, al di là dello scoppio della bolla finanziaria-immobiliare e della successiva crisi economica, sia in atto una tendenza verso una prolungata semi-stagnazione, con crescita anemica e disoccupazione alta. Una settimana dopo Paul Krugman, sul New York Times si è dichiarato d’accordo: “stavo riflettendo sugli stessi temi, e penso di averne accennato in numerosi scritti, ma la formulazione di Larry è più chiara e con maggiore vigore, e quindi migliore di quanto non abbia fatto io. Ti maledico Larry Summers” (l’ultima frase è ovviamente un omaggio a Charles Schulz, il creatore dei Peanuts).

L’economista che coniò il termine è stato Alvin Hansen, che divenne il più importante propagandista delle idee formulate da Keynes nella Teoria Generale. L’economista di Harvard era già sulla cinquantina, ma maturò, dopo un iniziale scetticismo, una comprensione profonda del mutamento di paradigma prodotto da Keynes, influenzando molti giovani economisti, tra cui Paul Samuelson e James Tobin. La paura di una tendenza strutturale alla stagnazione era dovuta alla preoccupazione di una insufficiente dinamica della domanda di consumi che avrebbe causato una fase depressiva, una volta finita la seconda guerra mondiale, e la formidabile mobilitazione della capacità produttiva che la mobilitazione bellica aveva comportato.
 
La paura di Hansen si dimostrò infondata, e il termine stesso di stagnazione scomparve nel mainstream economico, ripreso solo da marxisti (alla Luxemburg) come Paul Sweezy. Tuttavia in Europa alcuni economisti cercarono di superare l’aspetto debole dell’impostazione di Hansen, spostando l’accento dalla caduta della propensione al consumo al rallentamento degli investimenti, dovuto al comportamento delle grandi imprese oligopolistiche. Michal Kalecki, Josef Steindl e Paolo Sylos Labini hanno sviluppato analisi molto rilevanti, che non hanno riscosso subito molta attenzione, anche perché gli anni del dopoguerra sono stati anni di crescita alta e sostenuta.

Le analisi di questi economisti hanno una caratteristica comune: si concentrano sul settore reale dell’economia, la distribuzione del reddito, la struttura oligopolistica della produzione. Non ci sono la moneta e il credito, i tassi d’interesse e le banche. Ma, anche prescindendo dalla recente crisi finanziaria, se guardiamo al ventennio “perduto” del Giappone, vediamo che i debiti delle banche, l’impossibilità di far scendere sotto zero i tassi d’interesse e la deflazione che fa aumentare i tassi reali, sono stati fenomeni fondamentali nel determinare la lunga stagnazione nipponica.

Dal lato monetario le spiegazioni della difficoltà di uscire dalla stagnazione non sono mancate; basti pensare alla trappola della liquidità di Keynes. Un’altra spiegazione era stata elaborata da Don Patinkin, che aveva ripreso la distinzione di Kurt Wicksell tra tasso di interesse naturale e tasso monetario. A questa impostazione hanno fatto riferimento sia Krugman che Summers; il problema è che i tassi d’interesse hanno un pavimento (zero) sotto il quale non possono scendere.    

E’ molto probabile che, per un’analisi completa delle tendenze stagnazioniste, sia necessario tener conto sia dell’economia reale che della moneta; compito non leggero, sul quale Krugman ha scritto da tempo analisi interessanti. Chi scrive non è certo attrezzato per questo compito, ma è disposto a scommettere su cosa determini la stagnazione della Eurozona (Ez). Basti considerare che Ez ha avuto la peggiore performance rispetto a tutte le altre aree valutarie, ed anche rispetto agli paesi dell’Unione Europea non appartenenti a Ez.

La causa è l’austerità fiscale, ovvero della cura Merkel. Sotto la leadership tedesca infatti il rapporto di causa-effetto tra la crisi finanziaria e la crescita dei debiti pubblici è stato capovolto (prendendo come scusa il caso greco). Per l’uscita dalla recessione l’unica strada quindi è quella di tagliare i deficit pubblici, in particolare nei paesi Pigs. Come ha detto tre anni fa Frau Angela, qualunque massaia tedesca sa che non si possono curare i debiti con altri debiti. E’ questa visione economica che sta creando i presupposti di una crisi dell’euro. E’ una visione che rientra nella categoria della  stupidità, secondo Carlo Maria Cipolla: una persona stupida è colei che causa una perdita ad un’altra persona o gruppo di persone senza ottenere un guadagno o anche incorrendo in una perdita.

In un recente paper (International lending, sovereign debt and joint liability : an economic theory model for amending the treaty of Lisbon, Policy Research Working Paper Series 6555, The World Bank) Kaushik Basu e Joseph Stiglitz mostrano come la scelta cooperativa nella gestione di un debito sia conveniente sia al soggetto che si indebita che ad un suo partner, cioè ad un altro soggetto legato al primo da rapporti economici di vario tipo (tra cui avere una moneta comune). Il paper è teorico, ma in riferimento all’euro e alla Germania è esplicito.
 
C’è da dubitare che il paper riesca a scuotere le convinzioni del governo tedesco; secondo un detto degli antichi greci, “contro la stupidità neanche gli dei possono nulla”.

Ruggero Paladini

Economist - Professor of "Scienza delle Finanze" at University "La Sapienza" Roma; Member of the Economic Board of Insight - ruggero.paladini@uniroma1.it