I mali del Sud - La cultura ostaggio dei politici

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Al Sud diventa normale che l’istituzione pubblica, se “agente erogatore unico” di risorse finanziarie, abbia il diritto di valutare il merito culturale d’ogni iniziativa.

C’è una circolarità proteiforme tra “Politica” e “Cultura”: due concetti di alto valore simbolico. Alludono ad aspetti interdipendenti della civiltà e interrogano filosofia e antropologia. Qui però si vuole solo guardare alle prassi consequenziali: “gestione politica della cultura” e “uso strumentale della cultura” fatto dalla politica. Rompicapi insolubili ma preoccupanti nel Mezzogiorno: dove, più a torto che a ragione, si pensa alla cultura (e al turismo) come “il petrolio” della crescita economico-sociale.

Induce a riflettere la recente polemica tra il Presidente De Luca e il celebre scrittore Antonio Scurati. Costui, chiamato da De Luca a presiedere la Fondazione Ravello, si è presto dimesso ritenendo intollerabile la censura delle sue scelte culturali. Questa la sostanza, sebbene gli Organi della Fondazione neghino la censura adducendo problemi formali. La vicenda è paradigmatica, offre cioè un caso concreto della questione generale dei troppi eventi culturali (musica, arte, letteratura ecc.) finanziati da istituzioni pubbliche.

In ciò c’è molta lampante differenza tra Nord e Sud. Qui quasi non esiste il munifico “mecenatismo” di privati imprese o banche; a paragone col Nord, sono poche e povere le Fondazioni e di solito non sono ricche le istituzioni pubbliche. Comprensibile dunque il risentimento, specie verso le grandi banche del Nord: che insediatesi al Sud fagocitando le nostre banche, ne raccolgono cospicuo risparmio ma con avarizia a stento finanziano qualche progetto. Mentre con prodigalità sovvenzionano iniziative del Nord privilegiando (dicono: per statuto) i loro territori.

Rcordiamo la triste fine del Banco di Napoli! Sarebbe interessante un confronto trasparente Nord/Sud, tabelle alla mano, tra massa di ricavi al Sud delle banche del Nord e percentuale di loro erogazioni liberali per la cultura al Sud. De Luca quindi ha ragione quando insiste che, se non ci fosse lui, non ci sarebbero iniziative culturali (talora pseudo-culturali) a Napoli e in Campania. La maggior parte dei Comuni infatti, Napoli in testa, non ha risorse o è addirittura in conclamato dissesto. Non ha ragione però De Luca quando, oltre a decidere in totale discrezionalità le nomine nei posti-chiave di Centri culturali (Fondazioni; Società in house), pretende pure d’intromettersi – direttamente o tramite persone di sua fiducia, non sempre competenti – nei programmi culturali di chi lui stesso ha scelto.

Chisà se ha scelto le persone giuste: magari non all’altezza del compito o forse non allineate alla concezione della cultura setacciata dall’andazzo politico? Peraltro, alla fin dei conti, egli non esborsa risorse personali bensì risorse comunque  pubbliche. Di qui il problema-rompicapo senza soluzione: è legittimo che il responsabile politico di un’istituzione pubblica pretenda di mantenere il controllo sui contenuti culturali o artistici degli eventi solo perché li finanzia?

Fatalmente, nell’esercizio di questo potere di controllo, il politico è sempre mosso dalla ricerca incessante di consenso popolare (financo elettorale) o d’espansione di potere. Tant’è vero che, per esempio, la Regione Campania (prima Caldoro, poi De Luca), proprietaria dell’immobile della Fondazione Circolo Artistico – storica istituzione napoletana con uno straordinario Museo – dato lo scarso ritorno d’immagine e la difficoltà d’intaccarne l’autonomia, rifiuta di occuparsene. Ignora le numerose sollecitazioni: non di soldi, si badi, ma di sola cura dell’immobile, che tocca alla proprietà se non vuole mandarlo in rovina.

Insomma al Sud diventa normale che l’istituzione pubblica, se “agente erogatore unico” di risorse finanziarie, abbia il diritto di valutare il merito culturale d’ogni iniziativa. Anche a costo di sacrificare libertà e pluralismo, come vuole la Costituzione (art. 33). D’altronde non è solo De Luca a muoversi in questa logica. A parte il caso eclatante della Rai, dove la cultura è storicamente inquinata dalla politica, quando nel 2010 il centro-destra vinse le elezioni regionali, Caldoro non esitò a impossessarsi, tra l’altro, proprio della Fondazione Ravello.

E quando nel 2018 il M5S vinse le elezioni nazionali, il Ministro Bonisoli – forse su impulso del capo Di Maio – s’impossessò della Fondazione Ville Vesuviane, approfittando dell’improvvisa scomparsa del grande storico Giuseppe Galasso. Il quale, per la verità, era stato chiamato alla presidenza della Fondazione dall’allora Ministro Bondi (Forza Italia): attento però ad attorniarlo di Consiglieri tutti del centro-destra ma non tali da intimidire una personalità come Galasso.

Ora a Napoli De Magistris, nel lasciare il Comune squattrinato, tiene tanto all’immagine (sua e della sua candidata-sindaco) da consolarsi col taglio di nastri e intitolazione di strade. In definitiva al Sud è un’utopia, se non un sogno, sottrarre la “cultura” dall’influenza di una “politica” fatta di relazioni personali familistiche localistiche e partitiche. E torniamo così alla questione iniziale – filosofico-antropologica – di un’onesta circolarità tra cultura e politica. 
Sopravanzata dal costume e dal contesto meridionale: arretratezza economica, mancanza di lavoro, povertà, provincialismo, analfabetismo di ritorno ecc.. Ne sono responsabili pure la scuola, l’università e ogni altra agenzia educativa. Ma certo libertà e autonomia della cultura cresceranno se e quando la classe dirigente imparerà – e insegnerà ai cittadini – a fare politica in una democrazia matura. Vasto programma!           

Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.

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