La proposta di un gruppo di leader europei per scongiurare l'euro-crash

Sottotitolo: 
Giuliano Amato , Guy Vehofstadt, Enrique Baron, Stuart Holland, Michel Rocard, Mario Soares hanno presentato un piano "per salvare l'euro e bloccare la speculazione". Se accettato, il piano consentirebbe di promuovere un nuovo New Deal per l'Europa.

Quando George Papandreu assunse il governo in Grecia nell’autunno del 2008 scoprì che i conti pubblici erano stati falsificati dal precedente governo conservatore di Karamanlis. Informò la Commissione europea del fatto che il disavanzo era  dell’ordine del 12 per cento del Prodotto interno lordo e si dichiarò pronto ad adottare le misure necessarie per un graduale rientro.

Senonché i tecnocrati d Bruxelles, che pure avevano avallato nel corso degli anni i bilanci truccati per negligenza o  per compiacere il governo conservatore, pretesero da Papandreu l’impegno a rientrare nei parametri di Maastricht, il tre per cento di disavanzo, nel giro di tre anni. Un programma politico ispirato alle teorie di Friedman e del Washington consensus basate sugli "aggiustamenti strutturali" che coinvolgono licenziamenti nel publico impiego e tagli di salari e pensioni, creando circolarmente minore spesa e minore crescita del reddito sia nel paese coinvolto che nell'insieme dell'Unione. Una minore spesa nella periferia dell'Europa incide, infatti, anche sulla crescita del centro dell'Unione, considerato che i tre quinti delle esportaioni della Germania si dirogono verso gli altri paesi dell'Unione.

In ogni caso, gli "aggiustamenti strutturali" non funzionano in Europa come non hanno funzionato negli anni '80 nelle economie in via di sviluppo. Una volta avviata sulla via del fallimento, la Grecia ha visto crescere i tassi d’interesse   vertiginosamente con spread (differenza sui tassi tedeschi) del 13 per cento e un aumento del debito dal 120 per cento del PIL iniziale  al 180 per cento previsto per il 2014 (Martin Wolf, Moment of truth for the eurozone – Financial Times, July 6 2011).

Ha inizio così quella che sarà chiamata la “tragedia greca”, senza alle spalle la grandezza di un Eschilo, ma la stupidità di autorità sovranazionali irresponsabili. Di fronte a questa politica fallimentare di Bruxelles, gli economisti, quasi senza eccezione, sono per una volta tutti d’accordo. La Grecia dovrà dichiarare default per la semplice ragione che senza crescita non sarà in grado di ripagare il debito. Così il treno della crisi greca continua a correre verso il default nel mezzo di una crescente rivolta popolare.

Se il crash è, nelle condizioni attuali, un esito annunciato, le conseguenze sull’intera eurozona sono inevitabili, nel senso di un effetto domino a partire dai paesi periferici più esposti alle agenzie di credito che degradano la valutazione sulla base dell’entità del debito o, alternativamente, sulla scarsità del tasso di crescita o su entrambi.

E’ ancora possibile evitare il crash? E’ noto che gli economisti hanno proposto soluzioni diverse, che debbono misurarsi con ostacoli più politici che tecnici. La più recente è la proposta pubblicata sul Finamcial Times  del 14 luglio scorso “Un piano per salvarel'euro e frenare la speculazione". firmato da Giuliano Amato , Guy Vehofstadt , già capi dei governi italiano e belga, e da altre personalità fra le quali Enrique Baron, Stuart Holland, Michel Rocard (ex primo mimistro francese) e Mario Soares (ex primo ministro e presidente del Portogallo)  (Aplan to save the euro, and curb the speculators; Versione italiana ; Versión en español)
 

La proposta che trae spunto da idee che Stuart Holland aveva presentato nel 1993 in un rapporto per Jacques Delors ed è ora  ripresentato e approfondito su queste colonne (si veda European Bonds, Eurobonds and a new New Deal for Europe ), non manca di sottigliezze tecniche. L’incipit della Dichiarazione è politicamente significativa: “L'Europa – sostengono gli autori  - ha perduto la guerra tra i governi eletti e le agenzie di rating non elette. I governi cercano di governare, ma le agenzie di rating dettano le regole. Gli elettori lo sanno e alcuni Stati membri si oppongono a trasferimenti di bilancio verso altri Stati”.

Il default da parte dei paesi più esposti, si aggiunge, colpirebbe le banche e i fondi pensione non solo nei paesi periferici ma anche nel cuore dell’Europa. La crisi avrebbe un effetto devastante e nessuno potrebbe considerarsi immune. Se questa è un’analisi realistica,ed è difficile affermare il contrario, è possibile dar vita a uno strumento di stabilizzazione che eviti il crash?

La risposta degli autori è che la conversione di una quota del debito nazionale in EU-bond avrebbe una funzione di stabilizzazione dell'attuale crisi. Una proposta simile era stata avanzata dal Bruegel Institute nel maggio dell'anno scorso, ma con una rilevante novità. “Suggeriamo - scrivono gli autori - che la conversione di una quota del debito nazionale verso l'UE non deve essere posta sul mercato. Potrebbe essere detenuta direttamente dall’Unione. Non essendo oggetto di scambio sarebbe esente dalla valutazione delle agenzie di rating. Il suo tasso di interesse potrebbe essere deciso in una misura  sostenibile dai ministri delle finanze dell'Eurogruppo. Sarebbe immune dalla speculazione. Governerebbero i governi piuttosto che le agenzie di rating”.

La conversione  di quote del debito nazionale in eurobond,  secondo la proposta, non imporrebbe la creazione di una nuova istituzione, in quanto gli EU-bond potrebbero essere detenuti dall’European Financial Stability Facility. Né questa decisione sarebbe sottoposta a un consenso unanime degli Stati membri. Infatti, "si potrebbe dar luogo a un processo volontario di cooperazoni rafforzate. Gli stati non interessati potrebbero mantenere i propri bond".

Al tempo stesso, bond emessi direttamente dall' EFSF "potrebbero essere posti sul mercato globale e attrarre i surplus delle banche centrali delle economie emergenti e dei fondi sovrani. Questi flussi finanziiari verso l'eurozona sarebbero un motivo di rafforzamento e di sostegno alle politiche di crescita e di coesione senza trasferimenti fiscali fra gli stati membri". Del resto, si sostiene, questo processo è convalidato dall'esperienza della Banca europea degli invesimenti (BEI) "che ha emesso con successo bond nel corso di 50 anni senza insolvenze, garanzie nazionali o a trasferiementi fiscali".  

“Le obbligazioni - concludono gli autori del progetto - non sono moneta stampata. Non sono finanza in deficit. Le emissioni nette di obbligazioni da parte dell'Unione significherebbero flussi di fondi per finanziare la ripresa europea, piuttosto che l'austerità. Ci rivolgiamo all'Ecofin e al Consiglio europeo perché adotti questa linea sia per salvaguardare l’eurozona, sia per sviluppare la coesione economica e sociale attraverso un New Deal per l'Europa “.

Insight considera questa proposta importante e un passo avanti nel tentativo di scongiurare il crash annunciato dell'eurozona, e auspica che intorno ad essa possa svilupparsi una franca discussione.