Meloni e Schlein - Confusione politca e insulti
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Anziché aggredirsi reciprocamente, presentassero il loro programma di crescita dell’Europa. Su cui invece silenzio o enunciazioni generiche. Se Giorgia Meloni ed Elly Schlein abbandonassero la concezione guerrafondaia del ruolo – di Premier e di Capo dell’opposizione – forse capirebbero quant’è sgradevole esteticamente il loro scontro. Trasmesso per li rami ai rispettivi partiti e dannoso alla cultura del conflitto politico. Lascia esterrefatti il resoconto di Marco Galluzzo (Corriere della sera, lunedì scorso). Inconcepibile che due donne giovani – leader avversarie, ma mature – possano maltrattarsi nell’attuale ingarbugliata fase storica: italiana, europea, internazionale. Che esige misura e civiltà dello scontro su idee e programmi contrapposti. Positiva perciò l’interlocuzione telefonica (martedì scorso) tra le due leader: ha consentito l’approvazione alla Camera (coll’astensione della maggioranza) della mozione PD sul “cessate il fuoco” nella guerra Israele-Palestina. Nessuna illusione sul futuro, ovviamente, ma valorizziamo la schiarita nei rapporti perturbati Meloni/Schlein. Logicamente ciascuna cerca di portare acqua al suo mulino, anche per raccattare qualche voto – magari sottraendolo a un partito dello stesso schieramento – coll’avvicinarsi dell’elezione europea del 9 giugno (col voto “proporzionale”). Anziché aggredirsi reciprocamente, presentassero il loro programma di crescita dell’Europa. Su cui invece silenzio o enunciazioni generiche. Peraltro spesso litigano per difendere loro adepti. Ma che senso ha per Meloni sentirsi responsabile degl’insulti rivolti agli avversari da Donzelli e Foti; e per Schlein degl’insulti pesantissimi di De Luca? Una stranezza derivante dall’attuale confusione istituzionale tra Parlamento, Governo, Regioni, Partiti. Qui è più delicata la doppia posizione della Meloni: è Premier ed è leader di FdI. Schlein è semplice parlamentare e al massimo prova imbarazzo, dimostrando scarsa autorevolezza politica, se personalità del PD hanno atteggiamenti volgari (come De Luca), talvolta rivolti financo a lei stessa. Meloni invece è responsabile di atteggiamenti inappropriati di membri del Governo (Del Mastro, Santanché, Lollobrigida). Finge invece d’ignorarne oggettive criticità nell’esercizio delle funzioni. D’altronde sottovaluta pure il fregiarsi del “distintivo Lega-Nord” dei Ministri di questo partito, persino quando siedono ai banchi del Governo (primo Matteo Salvini). Evidentemente vogliono testimoniare l’appartenenza al partito anti-Sud. Ma Premier e Ministri devono avere tutt’altri comportamenti: governano “l’intera” Nazione, non una parte politica. Eppure Meloni è ossessionata dall’unica paura di “farsi dettare l’agenda” dall’opposizione. Quindi rifiuta d’ascoltarne le ragioni e magari qualche buona idea o iniziativa. Dunque ha fatto bene a non opporsi alla mozione PD sul “cessate il fuoco” in Medioriente, ma ha fatto male a respingerne la proposta di legge sul “salario minimo” rifugiandosi nel bizantinismo d’una legge-delega su retribuzione e contrattazione, che sul piano tecnico-giuridico aprirà più problemi di quanti ne chiuderà. Altrettanto male fa Meloni a non dialogare con l’opposizione sull’ipotesi di riforma costituzionale del “premierato” – anch’essa piena d’errori tecnico-giuridici – e sui guasti che produrrà l’autonomia regionale differenziata. Pare non rendersi conto di quanto la legge-Calderoli, spaccando l’Italia – oltre a ridurre il suo “patriottismo” – fa danni gravi: al Sud come al Nord. Davvero ritiene razionale regionalizzare materie come la sanità (specie dopo l’esperienza della pandemia) o la scuola o l’energia o i trasporti? Non si meravigli se poi aumenta il dissenso di Regioni e Comuni del Sud, espresso in tanti modi. Per esempio: eclatante la diversità di stile tra Gaetano Manfredi e Vincenzo De Luca. Alla sobrietà del primo si contrappone il livore del secondo. De Luca pare incitare alla sollevazione popolare con insulti volgari. Ha ragione nel merito – perché davvero il Governo mortifica il Mezzogiorno – ha torto nel metodo. Intanto per ora sembra ottenga più risultati Manfredi che De Luca. Invero anche Schlein dovrebbe rivedere il metodo dell’opposizione: almeno quella del PD, giacché Conte va per la sua strada mentre Calenda e Renzi sono indecifrabili. All’opposizione servono meno chiacchiere strillate e più interventi sui problemi. Che andrebbero studiati da un “Governo-ombra”, capace d’inventarsi progetti di legge, concreti e tecnicamente ineccepibili nei vari campi. Per esempio, una legge costituzionale – alternativa all’obbrobrio del “premierato” della destra – per costruire un disegno d’equilibrata revisione istituzionale, non eversivo della democrazia parlamentare della Costituzione. Inoltre: un progetto da contrapporre al “regionalismo differenziato”, partendo dall’appoggio della legge costituzionale d’iniziativa popolare di Massimo Villone sulla riscrittura del titolo V della Costituzione: unica via per smontare l’infame progetto Calderoli. In definitiva maggioranza e opposizione, avversari naturali, facciano una Politica alta, evitando guerre di posizione. Oggi non servono accaniti duellanti e cimenti armati, ma costruttori competenti del futuro dell’Europa unita e dell’Italia “una e indivisibile”. ( Editoriale del Corriere del Mezzogiorno, 18 febbraio 2024) Mario Rusciano
Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II. |