Nessuno parla di Lavoro

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La questione è sfaccettata: economico-sociale, sindacale e specialmente politica, giacché il lavoro è legato alla cittadinanza: quindi ai diritti costituzionali di libertà, dignità, uguaglianza, non discriminazione.

Non c’è programma di partito, a destra e sinistra, che alle scorse elezioni non abbia messo il lavoro al primo posto. Ora però mentre la sinistra tace, la destra, vinte le elezioni, toglie al lavoro il primato degl’impegni governativi assegnandolo ad altre promesse elettorali. 

Di lavoro – uno dei problemi più gravi del Mezzogiorno nella “Repubblica una indivisibile e fondata sul lavoro” – la destra parla senza mai passare dalle parole ai fatti. Semmai s’occupa di pensioni. Sul lavoro c’è dibattito teorico-statistico: Istat, giornali, studi, talk show. Intanto non passa giorno senza morti sul lavoro e senza licenziamenti per chiusura d’azienda: spesso multinazionale e naturalmente nel Mezzogiorno. Forse l’editoriale sul lavoro di Antonio Polito (Corriere della Sera, martedì scorso) chiarisce la concezione del lavoro tra i giovani; difficilmente smuoverà il Governo dal torpore.

Finora infatti esso ha solo deciso l’eliminazione entro luglio del reddito di cittadinanza per quanti considera “occupabili” . Per costoro niente corsi di formazione e occasioni di lavoro, benché preannunciati quali tappa intermedia e approdo finale. Così nel Mezzogiorno aumenteranno povertà e lavoro nero. Del resto pure il Sud è problema scomparso dall’agenda del Governo e dei partiti. Il discorso di Polito è interessante perché racconta il singolare dilemma dei giovani cui s’offre un’occasione d’impiego: lavoro o qualità della vita? Il dilemma sembra incredibile. Ma perciò va analizzato financo sul piano antropologico-culturale. Senza pregiudizi ideologici ma con attenzione maggiore di quella posta dalle istituzioni pubbliche che dovrebbero preoccuparsi d’uno spaccato cruciale dell’esistenza, specie dei giovani meridionali.

I più promettenti risolvono i problemi di lavoro e di vita emigrando verso mete altrettanto promettenti. Gli altri aspettano interventi del Governo nazionale e del Governo regionale: con scetticismo, nella confusa distribuzione delle competenze. Oltre a imprese e sindacati dovrebbero occuparsene i partiti, di maggioranza e d’opposizione. La questione infatti è sfaccettata: economico-sociale, sindacale e specialmente politica, giacché il lavoro è legato alla cittadinanza: quindi ai diritti costituzionali di libertà, dignità, uguaglianza, non discriminazione.

Gl’istituti di ricerca e di statistica sono importanti perché, studiando, forniscono idee e dati, ma gl’interventi concreti spettano alle istituzioni. Mancando però una visione di Paese coeso, sono impossibili interventi complessivi. Per esempio: sull’eguale tutela dei lavoratori, subordinati e autonomi, al Nord come al Sud. Oppure sul funzionamento capillare, spesso richiesto, dei fantomatici “Centri per l’impiego”, essenziali per l’aggiornamento e l’incontro di domanda e offerta di lavoro. Che esigono il monitoraggio costante del relativo mercato, notoriamente non omogeneo sull’intero territorio nazionale, diversificato per settori e categorie produttive.

Polito nota che mentre in passato, concludendosi un colloquio d’assunzione, era l’azienda a congedare l’aspirante dicendo: “grazie, le faremo sapere”, adesso è il candidato a congedarsi dicendo: “grazie, le farò sapere”. Pare davvero strano! Possono farsi due ipotesi al riguardo: o di grandi aziende del Nord per lavori d’alta specializzazione e professionalità. O per lavori di basso livello e malpagati: al Nord come al Sud. Ipotesi agli antipodi, unite però dal superamento della domanda datoriale sull’offerta lavorativa.

Nella prima ipotesi le eccellenze (manager; esperti in tecnologie sofisticate) sono ricercate come mosche bianche. Nella seconda ipotesi il lavoro non è attraente: scarsa retribuzione, costo della vita, orari disumani. Le donne in particolare – data l’assenza di servizi per infanzia e vecchiaia – scelgono l’accudimento familiare, magari si dimettono non potendo pagare un servizio domestico. È superfluo notare che anche su questo, come pure sulla carenza di formazione e orientamento dei ragazzi in età scolare c’è differenza abissale tra Nord e Sud, destinata ad aggravarsi coll’autonomia differenziata.

Evidentemente la problematica del lavoro, soprattutto dei giovani meridionali, è fatta di tanti fenomeni, uno più complicato dell’altro. Sicché oggi, col cambiamento d’epoca che ci trova impreparati, la relazione tra giovani e lavoro diventa contraddittoria e di reciproca diffidenza. Ma cambiando il lavoro a velocità supersonica – riducendosi per quantità ed esigendo più qualità – va cambiando pure in maniera speculare l’atteggiamento dei giovani rispetto al lavoro. Non basta per pretendere dalle istituzioni e dai partiti disegni e proposte serie, coerenti e complessive?

(Editoriale del Corriere del Mezzogiorno. 12 febbraio 2023)

Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.