OCCUPAZIONE, LA DESTRA È CONFUSA

Editoriale del Corriere del Mezzogiorno, domenica 23 aprile 2023, pp. 1 e 8]

 

Politica e sviluppo

16. OCCUPAZIONE, LA DESTRA È CONFUSA

di Mario Rusciano

             

Le maggiori Confederazioni sindacali, Cgil-Cisl-Uil, manifesteranno unitariamente contro le politiche del lavoro del Governo, ritenute contrarie agl’interessi dei lavoratori (6 maggio a Bologna; 13 a Milano; 20 a Napoli). Ha senso una simile mobilitazione in tempo di crisi (politica, economica, sindacale)? O è soltanto il “facite ammuina” di borbonica memoria? Due interrogativi sollevati dall’attuale sgradevole clima di cinismo misto a scetticismo. a) Sul primo: sì, ha senso. Sono fondati i timori sindacali, col diminuito potere del sindacato oggi. Il Governo affronta i problemi del lavoro in modo approssimativo e inappropriato. È vero che pure altri Governi degli ultimi decenni hanno i loro peccati. Ma il Governo della destra aveva promesso ben altro sul lavoro in campagna elettorale, ottenendo perciò i voti di molti lavoratori. Vinte le elezioni, muta l’atteggiamento e non esita a toccare punti nevralgici della loro tutela. Lo fa con provvedimenti legislativi o con esternazioni della Presidente Meloni, di Ministri o di leader della maggioranza. D’altronde effetti negativi sul lavoro l’hanno anche scelte non riguardanti direttamente il lavoro. È chiaro per esempio che, tollerando l’evasione fiscale (non certo dei lavoratori), mancano risorse da redistribuire. L’abbassamento del cuneo fiscale è modesto: in pratica un’elemosina o poco più ai lavoratori. b) Sul secondo interrogativo: no, la mobilitazione non è una finzione.

La Presidente Meloni riceve i rappresentanti delle Confederazioni – tra cui mette l’UGL “sindacato di destra”, forse non rappresentativo ma utile a farle da sponda – ne ascolta le istanze, ma ne respinge ogni proposta. Sicché, il “facite ammuina” è una scelta obbligata delle Confederazioni. E diventa una cosa seria se l’ammuina prelude a un conflitto aspro dagli sbocchi imprevedibili. Tutt’altro che scherzo goliardico dello slogan (nato peraltro da un falso fatto storico). Il malcontento dei lavoratori è tuttora controllato dai sindacati, ma potrebbe sfuggire a ogni controllo. Quando il Governo, trincerandosi nei suoi poteri istituzionali, rifiuta l’effettivo dialogo sociale – raccomandato financo dall’UE – si rischiano spontanee proteste di piazza espressive del malessere sociale. Ricordiamo i recenti disordini e saccheggi in Francia.

Il Governo Meloni ha idee confuse sui punti di sofferenza del mondo del lavoro. Cominciando dalla cosiddetta “inflazione da profitti”. Erode i salari, già molto bassi – coi contratti collettivi fermi da anni – mentre sono enormi e intoccati i profitti degli speculatori. Questi mantengono alto il prezzo di beni necessari benché diminuiscano i costi dell’energia. Nel frattempo si diffonde la povertà. Inoltre il taglio della spesa pubblica si ripercuote sui servizi essenziali e dell’amministrazione danneggiando i lavoratori, specie del Mezzogiorno. Derivano danni pure dall’abolizione del reddito di cittadinanza senza soluzioni credibili per l’occupabilità di chi lo perde, sempre soprattutto al Sud. Non dimostra il contrario l’asserzione vaga della Ministra del lavoro Calderone (Corriere della Sera, martedì scorso): “…stiamo creando le condizioni affinché i disoccupati trovino occupazione nei posti di lavoro, che in Italia ci sono” perché “la ricerca di personale è diffusa su tutto il territorio nazionale”. Mah! Pare comunque che la Ministra stia studiando i problemi del lavoro e previdenziali per allestire un decreto di prossima uscita. Non ne anticipa i contenuti, ma parla genericamente: di apprendistato; contratti a termine; incentivo alle imprese che assumono giovani; sistema pensionistico; semplificazione della gestione aziendale. Stando all’immaginazione ministeriale, avremo un mondo del lavoro “inclusivo, semplice, equo e solidale”. Forse sogna! Ma realisticamente avverte: non basta un buon decreto per la creazione di lavoro, che dipende anzitutto dalla crescita. Un’ovvietà, accompagnata dal silenzio sulla scarsità degl’investimenti dai quali dipende la crescita. La Presidente Meloni fa invece una bizzarra affermazione: anziché far lavorare gl’immigrati, va aumentato il lavoro femminile. In pratica, nel lavoro, ritiene intercambiabili immigrati e donne. Ma davvero esistono donne disposte a fare il lavoro degl’immigrati: in agricoltura, nell’edilizia o nella ristorazione (da lavapiatti)? È vero: per il suo noto “stile democratico” la destra non vuole nemmeno sentir parlare di “concertazione sindacale” come metodo di governo dell’economia. Tuttavia la Presidente del Consiglio – considerato il cambiamento d’epoca in cui viviamo e i gravi problemi economici e di lavoro – farebbe bene a valutare l’ipotesi d’un “Patto sociale” tra Governo, Imprese e Sindacati per un reale bilanciamento degl’interessi contrapposti. Oggi solo una seria “politica dei redditi” può garantire i valori costituzionali dell’eguaglianza, della coesione e della pace sociale.

 

Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.