Primo Maggio - Per il lavoro c'è poco da far festa

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 La festa del lavoro, mentre aumentano lavoro povero, lavoro nero e povertà assoluta. Le nuove tecnologie offrono all’impresa l’opportunità d’abbassare i costi aziendali a discapito del lavoro.

Domani è il 1° maggio ed è giusto riflettere sulla <<Festa del Lavoro>>. Ne ricordiamo spesso l’origine da dolorose vicende storiche. 1889: nasce a Parigi come festa <<dei Lavoratori>> per contrastarne l’ipersfruttamento. Si sceglie il 1° maggio a memoria del massacro, a Chicago nel 1886, di operai in lotta per orari più umani. Abolita dal fascismo, è ripristinata nell’Italia democratica ricordando pure i lavoratori uccisi da mafiosi siciliani che sparano sulla folla a Portella della Ginestra il 1° maggio 1947.

Diviene poi <<Festa del Lavoro>> ma permane l’alone di tristezza benché in Costituzione il lavoro sia il fondamento della Repubblica. Difficilmente nell’economia capitalistica – financo nell’economia sociale di mercato – la tutela dei lavoratori s’avvantaggia di cambiamenti organizzativi e trasformazioni sociali. Figuriamoci adesso: nel passaggio dal vecchio al nuovo secolo l’organizzazione produttiva cambia radicalmente colla rivoluzione tecnologica, la globalizzazione e l’immigrazione.

Riducendosi il lavoro nella tradizionale impresa industriale, aumenta la disoccupazione e si riduce persino il <<pacchetto dei diritti>> riconosciuti agli occupati: specie stabilità e salario.

Le nuove tecnologie offrono all’impresa l’opportunità d’abbassare i costi aziendali a discapito del lavoro.

Prima misura: massicci licenziamenti collettivi e delocalizzazione di stabilimenti. Nel Mezzogiorno mali incurabili! Impossibile il dignitoso reimpiego dei disoccupati: impreparati professionalmente alle mansioni dei nuovi processi produttivi, di solito hanno un’età in cui non s’imparano più tecniche di lavoro complesse. Occuparsi significa accontentarsi appunto di precarietà, bassi salari, sfruttamento o addirittura lavoro nero. Altro che progettare la vita e fare figli! Non potendo lo Stato rimanere estraneo all’enorme problema della disoccupazione, tocca al Governo trovare idee e soldi per “ammortizzatori sociali”.

Nel tempo cambiano nome ma restano un semplice sostegno contro la povertà: cassa integrazione; indennità di disoccupazione; reddito d’inclusione o di cittadinanza ecc. Ora sarà la “Garanzia d’inclusione nel lavoro” (Gil): sostituirà, con forti tagli, il reddito di cittadinanza, abolito dal 1° gennaio 2024. Comunque li si chiami, restano palliativi che non risolvono l’enorme problema del lavoro nella società tecnologica e digitalizzata.

L’alternarsi alla guida del Paese di governi di diverso segno politico oppure tecnici non muta il destino di chi lavora al servizio e/o nell’interesse altrui, a prescindere dalla forma giuridica e specialmente nei livelli medio-bassi della scala sociale.

Tutto ciò senza aprire il triste capitolo dell’ipersfruttamento degl’immigrati.

La Presidente Meloni ha avuto l’idea geniale di celebrare la Festa del Lavoro convocando per domattina un apposito Consiglio dei Ministri dedicato all’approvazione di provvedimenti sul lavoro. Ne conosceremo il contenuto martedì, ma le anticipazioni non sembrano tali da consentire di festeggiare gioiosamente il 1° maggio.

È vero: il Governo stanzia tre miliardi per abbattere il cuneo fiscale di lavoratori disagiati. A conti fatti però l’aumento in busta paga s’aggirerà intorno ai venti euro al mese: non proprio una gran conquista! Forse andrà un po’ meglio per le famiglie con figli o disabili o vecchi a carico. Si parla inoltre di portare da 24 a 36 mesi la possibilità di contratti a termine senza ragione, allargando così l’area della precarietà. Vedremo. Già s’è vista invece la mortificazione dei sindacati da parte del Governo: convocati stasera a Palazzo Chigi a poche ore dal Consiglio dei Ministri che festeggia il 1° maggio avendo già deciso tutto. Verrà solo “comunicato” ai sindacati: senza ascoltarli e discuterne.

Mentre cala il potere d’acquisto dei salari, eroso dall’inflazione, il Governo rimane irremovibile nel negare il salario minimo legale.

Quindi aumentano lavoro povero, lavoro nero e povertà assoluta. Peraltro si parla sempre di formazione ma non si creano Centri formativi accorsati. I Centri per l’impiego regionali continuano a essere pochi e inefficienti. Sempre alto il numero dei morti sul lavoro e carenti le risorse per controllare la sicurezza con pochi Ispettori del lavoro.    

Insomma domani non ci sarà tanto da festeggiare. Ancor meno si festeggerà in futuro senza una visione lungimirante della “questione-lavoro” e trascurando la necessità di creare, oltre alla professionalità, motivazione e dignità del lavoro. Mettiamone pure da parte il valore costituzionale – richiamato ieri con passione dal Presidente Mattarella e aborrito dalla destra di governo – ma almeno consideriamo che il miglioramento complessivo della condizione dei lavoratori contribuisce parecchio alla crescita e all’aumento del Pil. Forse è questo l’unico aspetto che tutti domani vorranno festeggiare. Comunque, buon 1° maggio!

Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.