Sul lavoro schiaffo ai sindacati

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Offensiva la decisione di convocare un Consiglio dei Ministri il giorno della Festa del Lavoro, presa apposta per deridere i sindacati.

È fondata l’ipotesi che – con l’approvare del decreto-lavoro del 1° maggio” (d. l. 4 maggio 2023 n. 48) – la Presidente del Consiglio abbia inteso imboccare l’irto e pietroso sentiero dello scontro aspro coi sindacati storici Cgil-Cisl-Uil. Francamente non se ne sentiva il bisogno. Tanto meno se ne vede l’utilità in uno dei periodi più critici della storia del Paese. Non può farsi un’ipotesi diversa stando agli atteggiamenti di Giorgia Meloni, precedenti e successivi al 1° maggio. Il primo atteggiamento è il chiaro messaggio al mondo del lavoro di rifiuto del “dialogo sociale”, più volte richiesto dalla stessa Unione Europea. Non ha altro significato la convocazione, all’imbrunire della vigilia del Consiglio dei Ministri in cui era prevista l’approvazione del decreto, dei più importanti rappresentanti dei lavoratori.

Evidentemente convocati in quel giorno e a quell’ora per dare loro soltanto un’informazione, non certo per ascoltarne le istanze e magari accoglierne qualcuna. Si presume infatti che tutto fosse già stato deciso. Una convocazione tardiva e inutile è un gesto offensivo! Come dire che del sindacato si può tranquillamente fare a meno perché il Governo sa risolvere da solo i problemi del lavoro. È democrazia questa? Altrettanto offensiva – s’è già accennato domenica scorsa – la decisione di convocare un Consiglio dei Ministri il giorno della Festa del Lavoro, presa apposta per deridere i sindacati e preparare la sceneggiata del 1° maggio. Che puntualmente è avvenuta calcando il sontuoso palcoscenico di Palazzo Chigi. Attraversandone in lenta successione i fastosi salotti, la Presidente Meloni ha sintetizzato i mirabolanti contenuti del provvedimento fino ad arrivare alla sala del Consiglio.

Lì erano riuniti ad attenderla in rispettoso silenzio i Ministri e lei ha dato inizio alla riunione suonando la campanella presidenziale con un sorriso in telecamera. Tutto per avere l’occasione di sottolineare quello che, secondo esponenti della destra, era un fatto assurdo: che il giorno della Festa del Lavoro il Governo lavorasse per i lavoratori e invece i sindacati si divertissero a cantare e ballare al Concertone. E per di più costringessero tanti lavoratori a lavorare fino a notte inoltrata per la buona riuscita del raduno canoro di piazza San Giovanni. Ma è probabile che la strategia della Presidente Meloni – un capolavoro di propaganda – abbia pure un altro inquietante obiettivo: dividere le Confederazioni.

Passato il 1° maggio, infatti, ha cercato di smorsare l’asprezza di gesti e toni dicendo di voler incontrare in futuro i sindacati sui vari problemi del lavoro. Un’improvvisa disponibilità al confronto. Alla quale Cgil e Uil hanno reagito con freddezza mentre la Cisl è apparsa più aperta, incline com’è alla partecipazione anziché al conflitto. Comunque sono confermate, dopo quella di ieri a Bologna, le previste date della “mobilitazione sindacale unitaria”. Peraltro l’unità sindacale è dimostrata dalle posizioni espresse sul decreto-lavoro.

Del resto, se dalla critica dei gesti e dei toni si passa alla valutazione della tecnica e dei contenuti del decreto governativo, il testo è molto discutibile. Partendo dall’utilizzo del decreto-legge per un intervento che non presenta i requisiti costituzionali della necessità e dell’urgenza. Il ricorso alla decretazione d’urgenza sta diventando la prassi normale dell’attuale Governo, benché anche in passato non siano mancati gli abusi. Palese il contrasto con la Costituzione: gli artt. 76 e 77 sanciscono con chiarezza l’assoluta eccezionalità dell’intrusione del Governo nelle prerogative del Parlamento-legislatore. Non parliamo poi della difficoltà financo di lettura di un testo pieno di riferimenti a norme, che vengono modificate ma sono indicate soltanto con data e numero delle leggi precedenti. Di certo il testo rallegrerà Giudici, Avvocati e Consulenti del lavoro.

Ma ciò che più sorprende è il contenuto di un decreto-lavoro che sul lavoro contiene ben poco. Ed è tutto da dimostrare che quello che contiene – su contratto a termine, Vaucher, taglio contributivo temporaneo e toppe normative per singole categorie e specifici settori – sia davvero a tutela del lavoro. La maggior parte delle norme riguardano l’abrogazione del “reddito di cittadinanza”, accompagnata da un groviglio burocratico dell’“assegno d’inclusione”. Procedure che sembrano inventate apposta per scoraggiare gli eventuali beneficiari della nuova misura: tra condizioni soggettive di beneficiari, specie famiglie; controlli; sanzioni anche penali. In definitiva, a parte il trambusto e le trovate propagandistiche, non è un decreto-lavoro da Festa del Lavoro!      

Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.