Tra DAD e lavoro agile

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Occorre anzitutto riflettere sull’intrinseca struttura d’una vera formazione dei giovani, irrealizzabile a distanza non essendo piatta trasmissione di saperi.

La drammatica pandemia ha soltanto effetti negativi sulla vita individuale e sociale. Senza discriminazioni tra giovani e vecchi, uomini e donne, bianchi e neri, ricchi e poveri. Adesso sono positivi purtroppo soltanto i risultati dei numerosi e costosi tamponi. Semmai sono positivi pure i profitti di chi specula sulla pandemia guadagnando dall’emergenza sanitaria. Se però nel diffuso malessere (fisico e psichico) si vuole proprio guardare il bicchiere mezzo pieno, qualche utilità si trova. Per esempio, la pandemia ha reso importanti gli strumenti telematici: nei rapporti sociali e istituzionali, ma soprattutto nel “lavoro agile” (lo Smart Working) e nella “didattica a distanza” (la DAD).

La chiusura forzata di uffici scuole università per contrastare il virus (con omicron più contagioso e veloce) ha fatto sì che il mezzo telematico consentisse a lavoratori (specie di pubbliche amministrazioni), a ragazzi e giovani di non fermare totalmente l’attività. Comunque c’è differenza tra lavoro agile e DAD per i giovani, sebbene i mezzi telematici annientino sia la “comunità di lavoro” sia la “comunità d’apprendimento”. Nel primo caso però la “comunità” è utile ma non necessaria, mentre nel secondo caso è sempre indispensabile. Perché lo “stare in presenza” d’insegnante e allievi, più che un fatto fisico, è coessenziale a insegnamento e apprendimento. Ci torneremo.

Nel “lavoro agile” – intuibilmente limitato alle sole mansioni compatibili (di solito impiegatizie e/o intellettuali) – le prestazioni a distanza non differiscono gran che da quelle in presenza. Il lavoratore sa bene che deve fare e che risultati raggiungere; e il datore di lavoro può controllare il dipendente financo meglio che in presenza. Inoltre, lavorando da casa, i “fuori sede” non si spostano e le aziende risparmiano su trasporti, locazioni e utenze. Occhio però a problemi inediti e irrisolti sull’esatto adempimento della prestazione, attuabile ovviamente solo col consenso del lavoratore: dal cosiddetto “diritto alla disconnessione” al contemperamento tra tempo di lavoro e tempo di vita (specie delle donne); dalla tutela della sicurezza e della privacy all’eventuale adeguamento retributivo (indennità ecc.).

Certo molto dipende anche dall’organizzazione del lavoro: se basata, almeno in parte, sulla digitalizzazione di dati, pratiche e documenti che il lavoratore può consultare da remoto è un conto; in caso contrario è un altro conto. Il lavoro agile infatti è più complicato e faticoso se le pubbliche amministrazioni sono poco digitalizzate (come in Italia); oppure se, per ragioni di riservatezza, il dipendente non può portare con sé pratiche e documenti o non può accedervi da lontano. Tutti problemi allo studio di esperti e parti sociali giacché lo Smart Working, figlio dell’emergenza, viene ora caldeggiato come nuova forma di normale prestazione d’opera.

Discorso diverso per la DAD. S’è detto che la “comunità d’apprendimento” è coessenziale alla funzione formativa di scuola e università. Superiamo le differenze – per chi insegna e per chi apprende –esistenti tra scuola e università e tra materie compatibili oppure no con la DAD. Per le materie tecniche infatti la DAD serve solo all’informazione teorica, ma non serve se l’apprendimento esige la presenza in laboratori o luoghi attrezzati per applicazioni pratiche.

 Parliamo piuttosto della DAD nella maggior parte degli altri casi. Occorre anzitutto riflettere sull’intrinseca struttura d’una vera formazione dei giovani, irrealizzabile a distanza non essendo piatta trasmissione di saperi. Non consiste cioè nel dare informazioni per farne soggetti eruditi, bensì nel plasmarne la personalità e aiutarne la crescita intellettuale e morale fornendo loro chiavi interpretative della realtà.

L’apprendimento perciò avviene gradualmente e collettivamente; in gruppo se ne discutono i contenuti nel confronto col docente e nello scambio d’idee coi compagni di corso. La formazione dunque è un processo per acquisire il metodo di accesso al pensiero critico, meglio se messo per iscritto. Se l’insegnamento in comunità e in presenza richiede uno sforzo  pedagogico serio e impegnativo del docente (da remunerare assai meglio!), per i giovani la socialità è irrinunciabile: imparano a parlare in pubblico vincendo solitudine ed esitazioni; dà luogo a oneste competizioni tra loro; consente al docente d’esercitare la sua funzione maieutica: per valorizzare talenti e abbattere timidezze. Tutti obiettivi non raggiungibili a distanza.

Sono tanti inoltre i problemi pratici della DAD: ripensamento della didattica; verifica di compiti scritti e interrogazioni; controllo dell’attenzione; sostegno di studenti disabili o con problemi d’apprendimento ecc.. Senza dimenticare le difficoltà delle famiglie: non lasciare i figli da soli; allestire postazioni e computer, specie in case piccole e con più ragazzi in DAD. Quante le disuguaglianze tra chi può e chi non può permetterselo!

Insomma, nell’emergenza, Smart Working e DAD sono alternative utilissime. Ma il primo ha più futuro della seconda. Su questa, attenzione a non scambiare per oro ciò che luccica: se non si vogliono privare i giovani di un’autentica formazione, la DAD va considerata una forma d’apprendimento assolutamente eccezionale, per periodi brevissimi. Si pensi piuttosto ad aumentare e rendere confortevoli le aule (aeratori ecc.). Guai a chiudere scuole e università a cuor leggero!             

(Editoriale- Corriere del Mezzogiorno, 16.1.2022)                                                                                                                                                                     

Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.