Libri - Tony Judt e le malattie dell'Occidente

E’uscito l’ultimo libro  di Toni Judt, uno  storico e critico inglese che opera in America, e continua a scrivere nonostante sia seriamente  impedito da  una grave malattia.  Per quanto breve, e scritto  soprattutto per i giovani americani ed inglesi,    il libro entra  con grande brio nella  polemica fra “ destra “ e “ sinistra”, fra gli ultraliberisti e liquidatori dello Stato ,  ed i socialdemocratici che sostengono la necessita’ di un approccio solidale , e non solo individuale,  ai problemi della societa’ moderna.

Gia’ il titolo  “Ill fares the land” (“ Soffre la terra “che  nel brano del poeta  settecentesco  continua :” ...perseguitata  da molti malanni,  la’dove le ricchezze   si accumulano e gli uomini decadono”) entra in medias res con la contrapposizione fra  “ricchezze private e pubblico squallore”.  Il testo  non e’ organico,  e’ piuttosto una discussione vivace ed  appassionata sulla situazione  economica e politica  dell’Occidente,  e quindi non e’ agevole presentarla in breve , senza ridurne l’incisivita’. Il testo  inizia con    una serie di grafici sull’incredibile  disuguaglianza fra i cittadini  dei paesi sviluppati , gli Stati Uniti al livello  massimo  e la maggior parte dei paesi europei  sgranati  ad una certa distanza. Paradossalmente , il coefficiente di  Gini, che misura  la differenza di reddito fra ricchi e poveri,  e’ uguale negli Stati Uniti ed in  Cina, cioe’ in  un paese  ricchissimo ed in uno che  sta uscendo dalla poverta’.Nella societa’ americana la poverta’  e’ non solo mancanza di mezzi, ma anche la  vergogna della propria situazione  e l’impossibilita’ di uscirne. La’ le imposte sono considerate una vera e proprie perdita secca, e non il costo di una  maggior parita’ economica fra cittadini; e  la liberta’ s’identifica sempre di piu’   con la  liberta’ di fare quattrini. Non e’sempre stato cosi’.

Dagli anni 40 a tutti gli anni 70  del secolo scorso  i paesi europei con la ricetta socialdemocratica e  keynesiana  , e gli Stati Uniti  con il New Deal prima e con la Great Society poi, portarono forti correttivi al meccanismo del mercato  per aumentare  la mobilita’ sociale ed alzare lo standard minimo  delle famiglie. Secondo una frase di Dahrendof, mai prima di quell’epoca tante persone  ebbero tante occasioni di migliorare la propria situazione economica e sociale. Il “welfare state” proteggeva  la maggioranza dei piu’ deboli  dalla ben piu’forte e privilegiata minoranza.

Tuttavia,   questo  sistema, nonostante il suo successo,  non e’stato in grado di durare.  Il lavoro manuale  sta rapidamente scomparendo non solo per il progresso  tecnologico, ma anche per la concorrenza  dei paesi poveri , e la disoccupazione di massa  sta cominciando ad apparire  come una caratteristica tipica delle societa’ sviluppate. La classe operaia , il blocco sociale piu’ direttamente interessato  alla sicurezza sociale , ha visto  i propri ranghi  scemare  a vantaggio della  piccola borghesia.

Non sorprende  che alla fine anche la sinistra sia giunta a mettere da parte  il collettivismo , concentrandosi sul tema dell’ liberta’ e sulla “identita’ “ dei singoli . La famosa frase  della signora  Thatcher “la societa’ non esiste , ci sono solo individui e famiglie”  ha  segnato  la scomparsa della  solidarieta’,  e dell’ interesse collettivo . Gli economisti “austriaci”  degli anni ’30 –ignorati per decenni- hanno fornito  il supporto culturale con  la  loro dottrina: le imposte riducono lo sviluppo e l’efficienza dell’economia, e le regole dettate dallo Stato  creano degli ostacoli alla libera concorrenza; meno importante e’ lo Stato,  piu’ forte sara’ l’economia . I servizi collettivi dello Stato sono inefficienti, e vanno privatizzati .

Il culto  del privato  ha portato allo smobilizzo  di buona parte del capitale pubblico, alla riduzione degli investimenti nei servizi  collettivi ed al massimo  profitto  per gli azionisti delle compagnie privatizzate. Tutto cio’ che e’dello Stato, dagli  ospedali alle scuole , dalle prigioni alla polizia all‘esercito , ai servizi di trasporto, tende a  passare ai privati, i quali  non  possono pero’ gestire  i servizi secondo l’interesse pubblico  , e devono ricorrere allo Stato per ripianare le perdite. Cio’ avviene ripetutamente,  creando in realta’ una ri-nazionalizzazione  surrettizia. Le conseguenze politiche di questo sistema sono molto gravi. Il servizio pubblico e’ diventato privato , ed  il cittadino  rimane  legato allo Stato soltanto dall’obbedienza  e non dall’utilizzo dei servizi pubblici   che riducono  le disparita’ fra i cittadini. La funzione dello Stato diventa solo “punitiva”, e la gente s’allontana   dalla politica , che si riduce  alla “ politica degli interessi, dell’invidia  e del farsi rieleggere.” Oggi il dibattito sul Governo  e’  lasciato agli specialisti ed alle “think tanks”  a cui il pubblico non ha accesso, e dove raramente trovano posto  le idee non convenzionali.

Forse troppo Stato fa male ,  ma c’e’ sicuramente qualcosa di peggio,  ed e’  quando di Stato  ce n’e’ troppo poco . La’ dove lo Stato fallisce , e praticamente scompare , la gente soffre  violenze ed ingiustizie di ogni tipo,  e , in piu’, i servizi pubblici non funzionano. D’altro canto,  il capitalismo  non e’ un sistema politico,  ma  una forma di vita economica  compatibile con diversi regimi politici, dittatoriali o democratici ;  lo  stesso  comunismo ,  per quanto nemico del libero mercato,   si puo’ adattare ad una varieta’ di sistemi economici,  anche se ne  riduce  comunque l’efficienza.

Nonostante fosse proprio la maggior beneficiata  del welfare state, la classe media, o almeno buona parte di essa ,  e’ sempre  meno interessata al welfare   e  sempre piu’  indispettita  dal peso delle imposte  che gravano su di essa  per mantenere le istituzioni utili ad una  minor diseguaglianza del redditi.

Secondo Judt , il risultato finale di questo complesso cambiamento,  e’ che la poverta’ ,comunque misurata , e’aumentata negli USA ed in Inghilterra, ed in ogni altro paese  che ha seguito il loro esempio. E’ necessario quindi  riprendere il discorso sulla questione sociale ,  con una  “nuova narrativa morale”. Il fatto che certe cose  siano o non siano nel nostro diretto  interesse non puo’ essere  sufficiente . Anche se il mercato libero funzionasse davvero come si dice, esso non sarebbe comunque una base sufficiente per una vita ben vissuta. E’ necessario trovare un modo per  dare alle nostre azioni uno scopo che possa avere un  effetto generale . Cosa desideriamo? La riduzione delle diseguaglianze , perche’ esse  fanno soffrire una parte delle persone e  riducono  il senso della fraternita’, che e’ non soltanto un obiettivo politico, ma anche una condizione per una politica efficiente. La disuguaglianza e’ inefficiente e l’egoismo  mette  alla fine in difficolta’ anche coloro che lo praticano.  La globalizzazione riduce le differenze economiche fra i paesi, ma   fa crescere le diseguaglianze  all’interno  dei paesi .  Spetta quindi allo Stato  la funzione di  mediare tra i cittadini impotenti  da un lato e le grandi
corporazioni che non rispondono a nessuno, dall’altro. Solo il governo puo’ rispondere effettivamente ai problemi creati dalla globalizzazione. 

Negli Stati Uniti, il paese che maggiormente nega il ruolo del Governo, lo stato ha appoggiato e sussidiato i piu’ diversi attori: i baroni delle ferrovie,  i coltivatori di grano,  le industrie automobilistiche e  quella aeronautica;  ma cio’ che distingue gli Stati Uniti, e’  che la gente crede esattamente il contrario. Ci siamo liberati della convinzione  che lo Stato sia sempre  la miglior risposta  a qualunque problema , ma  rimane il fatto che , se lo Stato non regola il mercato,  altri attori lo faranno: i monopoli, le grandi aziende, o   i sindacati,  riducendo la liberta’ del mercato ad una finzione. Solo lo Stato puo’ riuscire ad indirizzare i desideri  dei singoli  verso il benessere collettivo. Il punto principale sono i servizi pubblici, e non per caso  Judt fa una breve e interessante storia delle ferrovie inglesi  e del fallimento della loro privatizzazione.

Il mondo di oggi  e’ dominato dalla paura  a causa del terrorismo ed  dell’immigrazione . Se mancano istituzioni di cui i cittadini si possono fidare , ognuno cerchera’  la sua risposta personale, creando una societa’ di gruppi esclusivi , caratterizzata dai quartieri chiusi    dei ricchi che usurpano  il territorio urbano, e lo frammentano in tanti domini autonomi. Il socialismo , conclude Judt , si era ripromesso di sostituire il capitalismo , e non e’ riuscito nell’intento; mentre la social democrazia ha avuto  a suo tempo un successo  superiore alle aspettative . E’ arrivato quindi  il momento di porre la questione sociale in tutta la sua ampiezza; e la posizione socialdemocratica  non puo’  limitarsi alle considerazioni di efficienza economica,  non puo’ ignorare le considerazioni etiche e il riferimento agli obiettivi collettivi . Arricchirsi non basta, la societa’ deve avere un obiettivo che suoni giusto e raggiungibile. In complesso, come si vede , il libro di Judt fornisce una narrazione storica molto pertinente  dell’affermarsi dell’attuale capitalismo sfrenato,  e come esso puo’ e deve  essere corretto.  Il punto chiave e’ fare  appello al senso morale  delle persone, alla loro esigenza di vivere in un ambiente  gradevole, dove la corsa ossessiva alla  ricchezza non cancelli  il cardine  della vita in comune, la solidarieta’  fra cittadini .

In complesso, la  ricetta di Tony Judt  puo’ forse sembrare debole : ma bisogna ricordare che il progresso economico e sociale  del secolo passato era  basato appunto su di un fondamento morale,  sullo sforzo collettivo perche’  si riducessero le diseguaglianze  fra i cittadini.  Manca tuttavia, nel testo   un tentativo di analisi della  classe media, quella che costituisce oggi la maggioranza della popolazione,  e che e’ sostanzialmente in preda alla paura,  non   solo dei terroristi  o degli immigrati . Ben piu’ generale  nella  piccola borghesia e’ la paura ossessiva  di perdere quel poco di ricchezza che e’ riuscita ad accumulare , il terrore di  ritornare allo status quo ante , alla miseria superata dallo sviluppo economico degli anni ‘50 –‘70. Questa ossessione  oscura il discorso politico, creando un’insicurezza  che espone ceti tradizionalmente  “quietisti” alle suggestioni piu’ arrischiate, e impedisce loro  di rendersi conto che  una societa’ come l’attuale puo’ progredire solo  attraverso un consenso generale , che liberi le energie creative di tutti. Infine, sarebbe da considerare la funzione della cultura di massa , e principalmente della TV,  che e’ in realta’ lo strumento principale proprio del condizionamento della  classe media.

In conclusione, un testo molto interessante e vivace ; c’e’ da augurarsi che ci sia qualche benemerito editore  capace di pensare ad una tempestiva edizione italiana.
 

 

Marcello Colitti

Economist. He was President of Enichem. His last book is "Etica e politica di Baruch Spinoza". Member of the Editorial Board of Insight