La lettura del libro di Mario Fierli potrebbe essere un ottimo antidoto per riattivare il pensiero critico, antidogmatico, in cui la tecnica riacquista, senza demonizzazioni, il ruolo che le compete nella formazione dell’uomo di domani.
Il vecchio ordine non funziona più. Il neoliberalismo non è più la ricetta con cui si possa governare la società. Non lo è da un punto di vista politico, anche se sopravvive nelle proposte dei settori sociali interessati a farlo valere. Sopravvive antropologicamente nell’orientamento prevalente alla ricerca di soluzioni individuali e di “felicità privata”. Ma non è un orientamento incontrastato. Si sta creando un nuovo campo di lavoro per una sinistra capace di mettere assieme le leve fondamentali disponibili: consapevolezza civica, pensiero critico e azione collettiva.
Davvero è quello il nostro problema più grande? Stiamo scaricando un peso sui nostri figli e sulle generazioni future? A entrambe le domande la risposta è un secco “no”, senza ombra di dubbio. Purtroppo le regole europee, ora per fortuna sospese, sono state elaborate in base a questa ottica sbagliata.
Una riforma non neutrale rispetto all’assetto di potere, che migliorava la posizione della parte più debole nel rapporto lavorativo, La richiesta neoliberista di ristabilire piena flessibilità del mercato del lavoro ha in realtà l’obiettivo di modificare i rapporti di forza contrattuale tra lavoratori e datori di lavoro.
La vacuità della teoria ‘borghese’ della distribuzione del reddito fondata su dati puramente neutrali afferenti alla tecnologia ed alle dotazioni necessarie alla produzione, contrapponendovi l’esigenza di considerare il ruolo delle classi sociali in un quadro fondato sull’interrelazione tra economia reale e monetaria.
Oggi si tende a presentare la competenza come una qualità assoluta, sciolta da correlazioni con il suo intorno, laddove invece essa si qualifica solo in funzione del raggiungimento di un obiettivo.